10/10/07

"Trattati d'amore cristiani del XII secolo"

La Fondazione Lorenzo Valla/Arnoldo Mondadori Editore nella mai troppo stimata collezione di scrittori greci e latini pubblica i “Trattati d’amore cristiani del XII secolo”, volume primo, a cura di Francesco Zambon, scrupolosa, dettagliata, esauriente. Se l’Italia e l’Europa conservano memoria e onore della loro tradizione umanistica greca, romana, cristiana lo dobbiamo anche a pubblicazioni del genere rilevanti, anzi fondamentali, per varie ragioni. Innanzi tutto per la straordinarietà dei testi, quindi perché testi negletti, addirittura sviliti proprio perché negletti, quasi che non sapendo della loro esistenza è come se non esistessero, e quei secoli niente avessero manifestato. Dicevo che i testi hanno un eccelso valore per se stessi. Di che si tratta? Si tratta della espressione della civiltà cristiana, nei testi che ora leggiamo viene “data” la civiltà cristiana come veniva vissuta. Se qualcuno, specialmente di quei laici accaniti che confondono il diritto all’agnosticismo con la poca cognizione del cristianesimo vissuto, si imbatterà nel volume di cui scrivo, avrà più moderazione nei confronti del cristianesimo vissuto.
Perché dico “cristianesimo vissuto”, anzi “cattolicesimo vissuto”? Perché si fa troppa discussione sul diritto o meno di credere, sulla verità della fede e se ne fanno molto meno su quello che è il punto da centrare: quale civiltà viene fuori dal credente, ad esempio nel Medioevo? Nessuno oggi si porrebbe la questione se la religione greca sia stata vera o falsa, oggi la questione è: che civiltà venne dalla religione greca? Ora, che civiltà sorge dal cristianesimo vissuto nel XII secolo? I testi sono trattati di amore, amore cristiano, amore verso Dio, misticismo. Il devoto cerca di liberarsi dalla terrestrità per volgersi completamente a Dio. Ma sarebbe un errore catastrofico ritenere l’amore di Dio opposto all’amore del prossimo. All’opposto. Nei bellissimi testi, se escludiamo alcune insistenze scolastiche, nei brani in cui si lascia trasportare dall’impeto amoroso verso Dio, Guglielmo di Saint-Thierry, di cui abbiamo due opere, in una calorosa intensa amorosa attenzione che lo unisce negli atti della vita quotidiana abbraccia gli altri monaci e insieme, tutti quanti, si volgono a Dio. Il termine “comunità” non credo abbia avuto mai significato così ben vissuto come nella vita conventuale del Medioevo, una comunità non oppressiva piuttosto gioiosa dell’altro, di poter condividere amore dei monaci l’un l’altro e tutti insieme nei confronti di Dio. Saint-Thierry, che fu personalità insigne con incarichi ponderosi e saggista proficuo ha dei momenti di trasporto, che valgono al di là dell'adesione da parte del lettore della fede.
E del vero e del falso. Non si tratta di discutere se Dio esiste o non esiste è certo che esisteva dentro Saint-Thierry, che egli ne viene animato, e che tutti i suoi atti sono vissuti in questa immedesimazione. Ciò a cui Saint-Thierry tende conclusivamente è la carità. Prendendo da San Paolo che riteneva niente ciò che l’uomo fa e possiede se privo dello spirito della carità, Saint-Thierry ribadisce questo concetto con una sincerità interiore che coniuga teologia a poesia. Un cristianesimo vissuto e che riviviamo.
Meno acceso il testo del celeberrimo San Bernardo di Chiaravalle, amico di Saint-Thierry e in vicendevole collaborazione. San Bernardo è più analitico e attenua quell’amore di Dio appassionato che vibra in Saint-Thierry. Egli gradua l’amore verso Dio concludendo che il termine ultimo è quello di riuscire a diventare pienamente esecutore della volontà di Dio. Anche Bernardo è intriso nello spirito di carità. Da notare che entrambi furono uomini d’azione, che governarono monasteri, che influenzarono, soprattutto Bernardo, in modo decisivo la storia del cattolicesimo. Dei mistici che amavano Dio ma attraverso il mondo o amavano il mondo attraverso Dio. E con una coltivazione dell’interiorità spirituale senza di cui muore la civiltà, anche la più potentemente “tecnica”.

(Autore: Antonio Saccà)

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