01/05/09

Fra il diavolo, Platone e Komeini

di Filippo Giannini

Quando una città retta da democrazia si ubriaca, con l’aiuto di cattivi coppieri, di libertà confondendola con la licenza, salvo a darne poi colpa ai capi accusandoli di essere loro i responsabili degli abusi e costringendoli a comprarsi l’impunità con dosi sempre più massicce d’indulgenza verso ogni sorta d’illegalità e di soperchieria; quando questa città si copre di fango accettando di farsi serva di uomini di fango per poter continuare a vivere e ad ingrassare nel fango; quando il padre si abbassa al livello del figlio e si mette, bamboleggiando, a copiarlo perché ha paura del figlio, quando il figlio si mette alla pari del padre e, lungi dal rispettarlo, impara a disprezzarlo per la sua avidità; quando il cittadino accetta che, da dovunque venga, chiunque gli capiti in casa possa acquistarsi gli stessi diritti di chi l’ha costruita e c’è nato; quando i capi tollerano tutto questo per guadagnare voti e consensi in nome di una libertà che divora e corrompe ogni regola ed ordine; c’è da meravigliarsi che l’arbitrio si estenda a tutto e che dappertutto nasca l’anarchia e penetri nelle dimore private?

In un ambiente siffatto, in cui il maestro teme ed adula gli scolari e gli scolari non tengono in alcun conto i maestri; in cui tutto si mescola e confonde; in cui chi comanda finge, per comandare sempre di più, di mettersi al servizio di chi è comandato e ne lusinga, per sfruttarne tutti i vizi; in cui la demagogia dell’uguaglianza rende impraticabile qualsiasi selezione, ed anzi costringe tutti a misurare il passo sulle gambe di chi le ha più corte; in un ambiente siffatto, diciamo, pensate voi che il cittadino accorrerebbe in armi a difendere la libertà, quella libertà, dal pericolo dell’autoritarismo?

Ecco, secondo noi, come nascono e donde nascono le tirannidi. Esse hanno due madri. Una è l’oligarchia quando degenera, per le sue lotte interne, in satrapia. L’altra è la democrazia quando, per sete di libertà e per l’inettitudine dei suoi capi, precipita nella corruzione e nella paralisi.

Allora la gente si separa da coloro cui fa colpa di averla condotta a tanto disastro e si prepara a rinnegarla prima con sarcasmi, poi con la violenza, che della tirannide è pronuba e levatrice.

Così muore la democrazia: per abuso di se stessa. E prima che nel sangue, nel ridicolo”.

Queste sono parole, scritte e pronunciate oltre 2.400 anni fa, da uno dei più grandi filosofi dell’umanità: il greco Platone.

Chiediamo perdono al grande filosofo se, parafrasiamo il suo pensiero e lo facciamo nostro per riportarlo, quasi per intero, ai tempi nostri: quando ai giovani presentiamo un maramaldo e lo indichiamo come eroe e si condanna l’eroe tacciandolo per maramaldo; quando al giovane poniamo come meta assoluta il raggiungimento, con qualsiasi mezzo, della ricchezza; quando si deridono i doveri e si pretendono tutti i diritti; quando ad un giovane esaltiamo le capacità di guadagno di una prostituta, deridendo, di contro, il lavoro onesto; quando si confonde la solidarietà con la furbizia o l’imbecillità; quando gli stessi governanti si vantano delle loro omosessualità e la trasformano in virtù; quando si permette di deridere il sacrificio di Cristo e dei martiri, avocando ciò come diritto alla libertà; si festeggiala sconfitta della propria Patria e di ciò si rende grazie al nemico; quando noi europei rinunciamo alla nostra millenaria civiltà per accettare il rozzo e spaccone e immorale american style of living; quando si confonde il tradito con il traditore; quando si esaltano gli scempi compiuti sui cadaveri; quando tutto questo (e tanto altro ancora) si verifica, allora dobbiamo essere pronti ad accettare, anzi propugnare qualsiasi soluzione.

Chi legge queste note certamente ricorderà l’allegoria proposta da Platone, quella dello schiavo incatenato in un a caverna con il volto rivolto perennemente verso il fondo. Egli vedrà riflesse le ombre del mondo esterno contro la parete, e per lui, che solo quelle ombre può vedere, soltanto quelle sono il mondo esterno, il mondo reale.

Se riportiamo questa allegoria al tempo di oggi, non possiamo non osservare che per i giovani, che sono perennemente incatenati non in una caverna, ma di fronte ad un apparecchio televisivo, per loro, parimenti al povero schiavo, quello che osservano e ascoltano è il mondo reale. Sicché da anni, il concetto di estetica, di valore, di virtù, di doveri, come noi li conoscevamo, tutto questo si è capovolto, è naufragato. E i giovani conoscono e si riconoscono nella violenza (Rambo insegna), corruzione, droga, godimento sfrenato, la virtù dell’omosessualità, la civiltà del dollaro, l’ambizione dei bambini di una certa area della penisola di divenire capi mafiosi; e tanto, ma tanto altro ancora. D’altra parte queste sono le ombre che vengono propinate alla nostra gioventù, non più verso una parete di una grotta, ma dallo schermo della televisione. Ma l’effetto è lo stesso. Ecco, allora, spiegato i perché e i come è possibile dei fatti di Novi Ligure, quelli di Pietro Maso, o quello dei fidanzatini Doretta Graneris e Guido Badini e di tanti altri simili.

E noi dovremmo rimpiangere il crollo di un simile sistema? L’europeo che ha accettato di far entrare nelle proprie case l’american style of living, origine di tutte le nefandezze sopra denunciate, dovrebbe ricordare l’ammonimento del santone iraniano, Komeini che, poco prima di morire ammonì: <La residenza di Satana è a New York>.

Aveva tutti i torti?

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