30/04/10

L.u.c.i.f.e.r. : uno strano e inquietante acronimo della specola "vaticana"

Nuovo strumento per il Large Binocular Telescope (LBT), il telescopio sito nel sudest dell’ Arizona, sul monte Graham frutto di una collaborazione tra USA, Italia e Germania. Si tratta di una innovativa camera/spettrografo operante nel vicino infrarosso, che è ora a disposizione degli astronomi per le osservazioni scientifiche.

Il nome LUCIFER è stata una scelta obbligata poiché si tratta dell’acronimo di "Large Binocular Telescope Near-ifrared Utility with Camera and Integral Field Unit for Extragalactic Research".

Dopo più di dieci anni di progettazione, realizzazione e di test, il nuovo strumento, chiamato LUCIFER 1, rappresenta un potente strumento per ottenere spettacolari immagini attraversando l’universo, dalla Via Lattea alle più lontane galassie.

LUCIFER 1 è stato costruito da un consorzio di istituti tedeschi e sarà accompagnato da uno strumento gemello che sarà montato su LBT ell’inizio del prossimo anno. Il fattore innovatico di LUCIFER è che permetterà agli astronomi di ottenere osservazioni in dettaglio, precdentemente impossibili, ad esempio delle regioni di stelle in formazione, normalmente nascoste dalla polvere stellare. Lo strumento si presenta poi estremamente flessibile

LUCIFER, e poi il suo gemello, è montato sul “fuoco” dei due specchi giganti (8,4 metri di diametro) del telescopio LBT. Ogni strumento è raffreddato a -213 gradi Celsius per renderlo abile ad operare nella frequenza del vicino infrarosso. Le osservazioni nel vicino infrarossop sono essenziali per comprendere i segreti della formazione delle stelle e dei pianeti nella nostra galassia, così come delle molto più distanti e più giovani galassie.

Fonte:

www.media.inaf.it


E' morto Pierre Hadot

Il filosofo francese Pierre Hadot, uno dei massimi specialisti contemporanei negli studi di filosofia antica, è morto in un ospedale di Parigi, sua città natale, a 88 anni, a causa di un edema polmonare. La sua ininterrotta opera di scavo nel campo degli studi di filosofia antica lo aveva portato ad affermare una delle poche tesi, a mio giudizio, veramente originali in questo ambito di studi: la filosofia antica, lungi dall'essere una mera analisi teoretica dei fondamenti o di quei problemi primi che identifichiamo come "filosofici", ab origine e, almeno fino al XVII secolo, è stata una pratica di trasformazione del sé attraverso degli esercizi spirituali. In altre parole, secondo Hadot, la filosofia nel passato era una pratica di soggettivazione che indagava l'essere al fine di costituire il soggetto. Da qui la sua ricerca su tutte quelle "pieghe" del pensiero filosofico in cui questa tesi risalta con maggiore evidenza. Gli studi su Marco Aurelio, Plotino, Socrate, Wittgenstein e, ultimamente, su Goethe, rientrano in tale ottica. Negli anni 80 del secolo scorso le sue indagini hanno destato l'interesse di Michel Foucault che, all'interno degli studi per la "sua storia della sessualità", ha valutato le pratiche di soggettivazione analizzate da Hadot quali "luoghi" per eccellenza della resistenza politica.
Direttore dell'ecole Pratique des Hautes études dal 1964 al 1986, Hadot venne in seguito nominato professore al Collège de France dove occupò la cattedra di Storia Greca e di Filosofia Classica.

Simone Weil, testimone mistica della storia

N. 468-469 (Associazione Culturale "Testimonianze", via Giampaolo Orsini 44, 50126 Firenze.

Volume monotematico a cura di Lodovico Grassi e Severino Saccardi

Severino Saccardi, Simone Weil: “inattualità” di un pensiero volto al futuro

È un percorso originale, “atipico” e inclassificabile, quello di Simone Weil. Il suo pensiero dà voce ad un’esperienza connotata da un’ispirazione fondamentalmente unitaria, pur “abitando la contraddizione” ed ispirandosi contemporaneamente alle istanze mistiche della fede ed alla fedeltà alla “polvere della storia”. L’“inattualità” della sua riflessione ha il segno della fecondità e spinge a volgere lo sguardo al futuro per scorgervi il profilo dell’inedito.


Lodovico Grassi
, SimoneWeil: la parrhēsia di una mistica

L’esperienza religiosa e mistica resta la dominante della personalità di Simone Weil, il fondamento della sua forza e del suo legame con la sventura e la chiave privilegiata di lettura della sua opera.


Giancarlo Gaeta
, Simone Weil e i “bisogni dell’anima”

La riflessione di Simone Weil si propone non di creare un qualche sistema filosofico, ma di sviluppare una partecipe condivisione della condizione umana, colta nel vivo delle contraddizioni, delle lacerazioni e dei conflitti. Ne deriva una concezione etica, politica e mistico-religiosa che pone al centro non la collettività o l’astratta ipotesi ideologica della palingenesi sociale ma l’essere umano in quanto tale, definito dalla sua unicità, dal suo ineliminabile bisogno di trascendenza e dal carattere obbligante, e insieme liberante, di relazione con l’“altro”.


Gabriella Fiori
, L’amore di una donna-genio per l’umanità

Per Simone Weil conta soprattutto il «rapporto con il reale» come cammino verso la verità, che coincide con la giustizia e con la bellezza. Nutrita dal calore formativo della libertà familiare e incoraggiata nella «volontà cosciente di bene» dal maestro Alain, scelto perché «uomo etico», segue desiderosa gli impulsi di una «vocazione» indipendente e vive una breve, e multiforme, vita alle soglie della dispersione, unificandola con una coerenza folle. Una partecipazione con la totalità dell’essere, anima e corpo, alle contraddizioni più dolorose dell’epoca (in primo luogo, nella condizione della fabbrica), intessuta della sua pietà di donna e della sua lucidità di genio, costruisce il suo metodo e definisce il suo pensiero, espressione di una costante tensione verso un’“esigenza di bene assoluto” e di “rispetto universale” fra gli uomini.


Attilio Danese
, Fra “personale” e “impersonale”: l’impervia esplorazione di Simone.

Una rilettura dell’opera di Simone Weil attraverso la categoria della contraddizione (illuminata dal bene) ed il complesso rapporto fra la dimensione “personale” e quella dell’ “impersonale”, che solo il riferimento alla verità della Croce permette di illuminare in modo convincente e liberante.


Luciana Floris
, Smascherare i falsi dei e trarre l’anima alla luce

Superare l’impostura dell’immaginario e obbedire ad un “realismo” capace di ridefinire valori etici come bene e male, sentimenti e passioni: la sofferta lezione di Simone Weil alle prese con l’assurdità dell’esistenza.


Mariolina Graziosi
, Come una mistica vive e guarda il mondo

Tutta l’opera di Simone Weil tende non a osservare il mondo, gli eventi, dal di fuori, attraverso uno sguardo critico, ma a calarsi negli eventi del mondo così da viverli nella carne e nello spirito: grazie al pensiero antico, ripropone la visione dell’unità dell’Essere; per raggiungerla indica la strada del sentimento, la via dell’assoluto, con l’attenzione orientata verso il bene.


Roberto Mancini
, Statuto e vocazione dell’“arte” della politica

Riprendendo alcune indicazioni di L’enracinement di Simone Weil (un testo che disegna in maniera lucidamente critica la dialettica di forze contrapposte in cui si gioca tuttora la gestazione di uno “spazio pubblico” umanizzato), una riflessione sulla ricerca di una politica nonviolenta, capace di dare corso a una giustizia che non fa vittime: la giustizia della restituzione di diritti a quanti ne hanno dovuto subire la privazione e di doveri a quanti li hanno elusi, come unica via per uscire da un presente oscuro e per costruire un futuro di liberazione.


Tommaso Greco
, Perché mi vien fatto del male? Diritto e giustizia in Simone Weil

Il pensiero di Simone Weil sul Diritto esprime una radicalità fecondamente “imbarazzante”. Critica del Diritto e della cultura dei diritti (incentrata sull’idea della rivendicazione), ella sostiene piuttosto il richiamo vincolante ai “doveri” e alla categoria dell’“obbligo” per fondare la giustizia. C’è un modello che ci convoca ad imitarlo, pur nella limitatezza e nell’imperfezione delle forze umane: è quello del Cristo, immagine del giusto perfetto. Il diritto visto come limite della forza deve, dunque, combinarsi con il gesto individuale e con l’attenzione partecipe verso il debole, verso il sofferente e verso l’altro.


Daniela Belliti
, La ricerca della giustizia e la violazione del sacro

Verità e bellezza sono le coordinate per il ripensamento della civiltà umana a partire dalle quali la politica stessa dovrà trovare il suo fondamento in una morale superiore, basata non semplicemente sul diritto ma sulla considerazione del bene, fonte trascendente del sacro e fonte della dignità di ogni uomo che abita questa terra. Pensare la rivoluzione significa pensare la società e i meccanismi dell’oppressione politica e sociale, per indirizzarli verso un cambiamento radicale che, portando alle più coerenti conseguenze il pensiero weiliano, non può che orientare verso un “noi globale” in via di approssimazione.


Bruno Di Porto
, Simone e l’ebraismo: la radice disconosciuta

Simone Weil, nata in una famiglia ebrea colta e benestante, ebbe, per tutta la vita, un complesso e contrastato rapporto con quelle che erano, comunque, le sue stesse radici. La sua spiritualità, atipicamente cristiana, la condusse a rivalutare piuttosto la Grecia classica e l’antico Egitto e ad esprimere freddi giudizi verso gli ebrei come civiltà, come religione e come popolo. Nel tragico periodo di persecuzioni antisemite, la sua solidarietà per gli “ultimi”, che l’aveva condotta ad identificarsi nei poveri e nella classe operaia, non ebbe manifestazioni visibili verso i suoi fratelli ebrei vittime della persecuzione. Pur nel riconoscimento della grandezza del suo percorso, i pregiudizi antigiudaici della Weil costituiscono un problema anche per molti suoi estimatori cristiani.


Domenico Canciani
, Felice Balbo e Adriano Olivetti, “primi lettori” della Weil

In Italia, la conoscenza di Simone Weil, nel secondo dopoguerra, in un tempo condizionato dalle divisioni e dalle appartenenze politico-ideologiche, si è fatta strada con non poche difficoltà. È anche grazie alla lettura fattane allora da alcuni intellettuali illuminati che oggi la sua opera è apprezzata e utilizzata nel dibattito politico, culturale e religioso; tra questi, Felice Balbo, originale filosofo antifascista di orientamento cattolico ma aperto alla lezione marxista, e Adriano Olivetti, uno dei più audaci innovatori nel panorama dell’industria italiana del dopoguerra, impegnato sul fronte della cultura e fondatore del movimento di Comunità.


Giulia Paola Di Nicola
, Il potere e la città. Riflessioni su “Venezia Salva”

La tragedia Venise sauvée contiene il succo delle riflessioni weiliane sul potere: il male dell’uomo è spesso legato alla sua incapacità di leggere la realtà e il singolo è oppresso dalla società e dalle sue leggi. Venezia appare come palestra di esercizio del governo (Consiglio dei Dieci) e l’oggetto dell’amore naturale (Violetta), della idolatria del noi (artigiano, apprendista), della brama di potenza (Renaud e congiurati), della pietà (Jaffier). In particolare, nella figura di Jaffier, Simone fa rivivere la tragedia di Antigone: che consiste nell’essere condannati dalla propria stessa pietà.

Cenni biografici

(€13)


Un workshop scientifico sulla Sacra Sindone


La Sacra Sindone

La Sindone di Torino è uno degli oggetti più studiati al mondo e rappresenta un vero e proprio enigma scientifico (checché ne pensino gli intelligentoni di Micromega). Il principale interrogativo sulla Sindone riguarda la realizzazione dell’immagine impressa sul telo di lino, che ha caratteristiche chimiche e fisiche praticamente impossibili da replicare, tanto nel passato quanto oggi.

Un gruppo di ricercatori dell’ENEA di Frascati è riuscito ora a riprodurre, per la prima volta, la colorazione di un tessuto di lino, negli strati più superficiali del tessuto, con la stessa cromaticità dell’immagine sindonica. Questo risultato è stato ottenuto inviando impulsi di luce ultravioletta emessi da speciali laser.

Gli studi e le conoscenze sulla Sindone non sono ancora in grado di fornire risposte scientificamente attendibili. Per fare il punto sugli interrogativi lasciati aperti dagli studi sulla Sindone, il dott. Di Lazzaro, responsabile del Laboratorio Eccimeri ENEA, e i suoi collaboratori hanno organizzato dal 4 al 6 Maggio 2010 presso il Centro Ricerche di Frascati, un workshop scientifico internazionale, a cui parteciperanno esperti provenienti da tutto il mondo. Sarà l’occasione per approfondire le conoscenze sull’immagine sindonica e su altre due immagini cosiddette acheropite, ovvero “non fatte da mano” (www.acheiropoietos.info).


28/04/10

Convegno di studi su Julius Evola ad Alatri

Aula Magna Palazzo Conti Gentili, Alatri
(Sala del Seminario Giuridico “Riccardo Orestano”)

Julius Evola e la Filosofia

Il Convegno si articolerà sulle due giornate di venerdì 7 e sabato 8 maggio e prevede l’intervento di studiosi notevolissimi. Chi abita nel centro Italia ha un’ottima opportunità di ascoltare due giorni di relazioni di straordinario interesse su Julius Evola.



VENERDI’, 7 MAGGIO 2010, ALATRI

MATTINA
h. 09.00 – Saluto delle Autorità e INTRODUZIONE di Gianfranco de Turris
PRESIDENZA: Prof. Giulio Maria Chiodi
RELAZIONI:
h. 09.30 – Prof. Luciano Arcella (Università dell’Aquila): “La futile
certezza dell’io”.
h. 10.00 – Prof. Giovanni Sessa (saggista): “Evola ed Emo”.
h. 10.30 – Prof. Giovanni Franchi (Università di Teramo): “Spann tra
idealismo e filosofia cristiana”.
11.00 – 11.30: PAUSA CAFFE’
h. 11.30 – Prof. Claudio Bonvecchio (Università dell’Insubria): “Il
senso della tradizione”
h. 12.00 – Prof. Agostino Carrino (Università di Napoli “Federico
II”): “Evola filosofo della politica?”.
COMUNICAZIONI E INTERVENTI:
h. 12.30 – Prof. Vitaldo Conte (Accademia di belle arti di Catania):
“I nudi di Evola come ‘Metafisica del Sesso’”.
h. 13.00 PAUSA PRANZO
h. 15.00 RIPRESA DEI LAVORI
POMERIGGIO
PRESIDENZA: Prof. Agostino Carrino
RELAZIONI:
h. 15.00 – Prof. Domenico Caccamo (Università di Roma “Sapienza”):
“Evola e la critica della civiltà: Freud e Nietzsche”
h. 15.30 – Prof. Davide Bigalli (Università di Milano): “Evola e il
pensiero medievale”.
h. 16.00 – Prof. Marco Rossi (saggista): “Occultismo, magia e luce
dell’Oriente: la scoperta evoliana della filosofia”.
h. 16.30 – Dott. Stefano Arcella (saggista): “L’influenza di Vico
nella filosofia evoliana”.
17.00 – 17.30: PAUSA CAFFE’
COMUNICAZIONI E INTERVENTI:
h. 17.30 – Avv. Giandomenico Casalino (saggista): “Evola ed Hegel”.
h. 17.45 – Dott. Carlo Gambescia (saggista): “Evola e Pareto. Spunti
sociologici”.
h. 18,00 – Dott. Simone Marletta (Università di Padova): “Riflessioni
sul concetto di trascendenza-immanente”.
DIBATTITO CONCLUSIVO DELLA PRIMA GIORNATA DI LAVORI.
h. 20.00 CENA E PERNOTTO.

SABATO, 8 MAGGIO 2010, ALATRI

MATTINA
PRESIDENZA: Prof. Claudio Bonvecchio
RELAZIONI:
h. 09.30 – Dott. Hans Thomas Hakl (Saggista). “Evola e Antaios”
h. 10.00 – Prof. Giorgio Salzano (Università di Teramo): “Per una
teoria dell’atto”.
h. 10.30 – Prof. Giulio Maria Chiodi (Università dell’Insubria): “Una
filosofia delle vette”.
11.00 – 11.30: PAUSA CAFFE’
h. 11.30 – Prof. Giuliano Borghi (Università di Teramo): “L’anarca evoliano”
h. 12.00 – Prof. Mario Conetti (Università dell’Insubria): “Evola e la
tradizione ghibellina”.
COMUNICAZIONI E INTERVENTI:
h. 12.30 – Dott. Sandro Giovannini (pubblicista): “Unicità/esemplarità
artistico/filosofica”.
h. 12.45 – Prof. Gian Franco Lami (Università di Roma “Sapienza”):
“Una filosofia sovranazionale”.
h. 13.00 PAUSA PRANZO
h. 15.00 RIPRESA DEI LAVORI
POMERIGGIO
PRESIDENZA: Dr. Gianfranco de Turris
RELAZIONI:
h. 15.00 – Prof. Giovanni Damiano (saggista): “Il problema della
potenza nella filosofia evoliana”.
h. 15.30 – Dott. Alberto Cesare Ambesi (saggista): “Tra mistica e ascesi”.
h. 16.00 – Prof. Giampiero Moretti (Univ. Orientale di Napoli): “Evola
traduttore di Bachofen”.
h. 16.30 – Prof. Roberto Valle (Università di Roma “Sapienza”): “Evola
e il sofianismo”.
17.00 – 17.30: PAUSA CAFFE’
COMUNICAZIONI E INTERVENTI:
h. 17.30 – Giuseppe Gorlani (saggista): “Julius Evola e la tradizione
del Sanatana Dharma”.
h. 17.45 – Dr. Ferdinando Melchiorre (Ist. Suor Orsola Benincasa):
“Magia, Alchimia, Psichiatria”.
CHIUSURA DEI LAVORI


27/04/10

Luce Irigaray: Il mistero di Maria

Lunedì 3 maggio h. 18 alla Casa della Cultura (Via Borgogna 3, San Babila, Milano) un incontro "d'eccezione":


sarà presente la grande filosofa belga Luce Irigaray, una vita spesa a riflettere sul tema della differenza, sul rapporto uomo-donna, sul mistero dell'altro, sulla necessità di un pensiero femminile maturo, saggio e ardente.

Dialoghera con lei Gianni Vacchelli a partire dal suo recentissimo Il mistero di Maria, un libretto prezioso e molto intenso, che rivista la figura di Maria con uno sguardo "nuovo" ed insieme tradizionale.


LUCE IRIGARAY, nata in Belgio, direttrice di ricerca al Cnrs a Parigi, e’ tra le piu’ influenti pensatrici degli ultimi decenni. Opere di Luce Irigaray: Speculum. L’altra donna, Feltrinelli, Milano 1975; Questo sesso che non e’ un sesso, Feltrinelli, Milano 1978; Amante marina. Friedrich Nietzsche, Feltrinelli, Milano 1981; Passioni elementari, Feltrinelli, Milano 1983; Etica della differenza sessuale, Feltrinelli, Milano 1985; Sessi e genealogie, La Tartaruga, Milano 1987; Il tempo della differenza, Editori Riuniti, Roma 1989; Parlare non e’ mai neutro, Editori Riuniti, Roma 1991; Io, tu, noi, Bollati Boringhieri, Torino 1992; Amo a te, Bollati Boringhieri, Torino 1993; Essere due, Bollati Boringhieri, Torino 1994; La democrazia comincia a due, Bollati Boringhieri, Torino 1994; L’oblio dell’aria, Bollati Boringhieri, Torino 1996]


GIANNI VACCHELLI è professore di letteratura italiana in un liceo classico milanese e insegna al Dipartimento di Italianistica (Scienze della Formazione) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Tiene corsi e conferenze, scrive libri per la scuola, racconti e saggi. La Bibbia e Dante, letti in una prospettiva simbolica che tenga insieme il livello interiore con quello letterario e mistico, sono i suoi principali oggetti di studio. La sua lettura, attenta al dialogo interculturale, è al crocevia delle tradizioni spirituali d’Oriente e d’Occidente. Ha pubblicato nel 2008 per Marietti Dagli abissi oscuri alla mirabile visione. Letture bibliche al crocevia: simbolo poesia e vita e ne 2010 per l'editore Servitium di Milano Per un'alleanza delle religioni. La Bibbia tra Panikkar e la radice ebraica.

26/04/10

Giù le mani da mio padre Ezra Pound

Nel 2009 ha avuto la sorpresa di trovare sul «New York Times» un commento sulla crisi dei mutui che si apriva riportando dei versi scritti da suo padre all'alba della Seconda guerra mondiale: «Con usura nessuno ha una solida casa». Versi maturati su teorie economico-politiche che, dopo aver ispirato il suo appoggio al fascismo, contribuirono a far rinchiudere per 13 anni Ezra Pound nel manicomio criminale di Washington. Teorie che ora l'America rivaluta come intuizioni profetiche contro lo strapotere di una finanza apolide, refrattaria alle regole e non compassionevole. «Una piccola rivincita», la citazione giornalistica, nella patria che aveva bandito il poeta come un traditore. Liberandosene con una condanna alla pazzia (mai diagnosticata, comunque). Oggi sfoglia un dossier di riviste italiane e si accorge che, sempre nel nome di suo padre, cresce «la marea nera del terzo millennio»: il movimento CasaPound. Nei resoconti si parla di «iniziative sociali e culturali» promosse dal network dell'ultradestra (lotte per casa, maternità e agroalimentare autarchico), ma anche di «raduni organizzati con disciplina marziale» da una «santa teppa» che si distingue per «bomber di pelle, teste rasate e bandiere dalle simbologie gotiche».

E osserva su Internet una sequenza di video che riassumono il gusto per certe «pratiche guerriere» di questi militanti che, quando «ballano prendendosi a cinghiate», esprimerebbero solo un «vitalismo futurista», mentre invece per qualcuno le loro sarebbero delle «mimetiche prove di violenza». Mary de Rachewiltz, figlia dell'Omero americano del Novecento, riflette sulle contraddizioni del doppio ritorno poundiano. Poi si concentra sugli ultimi ritagli, e si sfoga con sgomento. «Questo è un altro modo di mettere Pound in una gabbia, com'era quella del Disciplinary training center di Pisa dove fu segregato, la Guantanamo del 1945. Un danno enorme, perché nasce da una distorsione del significato del suo lavoro e rischia di comprometterne ancora un pieno riconoscimento critico. Un abuso, perché così lo si relega in una dimensione ambigua che va oltre il reazionario, verso una cifra regressiva. E perché lo si indica, a ragazzi dalle menti confuse, come un profeta tanto più affascinante in quanto pericoloso e proibito». Per l'erede del poeta, insomma, «non si può restare sul diplomatico», nel giudicare coloro che pretendono d'essere i «nipotini di Pound». L'hanno elevato a oggetto di un culto a sfondo quasi mistico-esoterico. E l'hanno inserito tra gli antenati ideali rievocando a mo' di slogan alcune sue frasi «più o meno fiammeggianti pescate qua e là senza logica» dalla stagione in cui sostenne Mussolini. Che «per mio padre fu un momento di frattura molto complesso». E che perciò andrebbe riconsiderato, secondo lei, sulla base di variabili spesso trascurate.

A partire dalla sua visione della storia perché, spiega, «a lui interessava l'etica più che la politica, e di Mussolini diceva che avrebbe voluto educarlo e che era stato distrutto per non aver seguito i dettami di Confucio». È una difesa che la signora de Rachewiltz, traduttrice e filologa dell'opera paterna che vive a Tirolo di Merano, si concede con disagio. Essendo parte in causa, per lei dovrebbero essere gli anglisti che hanno a cuore la memoria di Pound a «battersi contro certe indebite appropriazioni». Ma decide di intervenire, anche se il terreno è scivoloso, per offrire qualche indizio di ricerca a quanti vogliono addentrarsi in una «questione tormentata e carica di ipocrisie». La sua traccia d'esordio riguarda i malintesi sul rapporto America-Italia da parte di coloro che sostengono di voler recuperare Pound. Chi, da sinistra, emancipandolo dalla «radiazione» decretata nel dopoguerra e presumendo che avesse rinnegato le proprie idee. Chi rivendicandolo alla destra, magari quella estrema di CasaPound. Spiega: «Ci si dimentica che furono gli italiani, e intendo i fascisti, i primi a non fidarsi di lui. La sua filosofia sociale — e adesso si ammette che non era lontana dalla dottrina di Keynes — era scaturita da una folgorazione mentre studiava le carte fondative del Monte dei Paschi e vagheggiava un'Italia antiborghese in grado di recuperare la tradizione e rinnovare il Rinascimento. Sognava un Paese che rifiutasse il capitalismo trionfante in America, dove per lui erano stati stravolti i valori dei Padri Pellegrini, basta scorrere il suo libro Jefferson and/or Mussolini per sincerarsene. Voleva una gestione morale dell'economia, attraverso l'abolizione dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo e del processo del denaro che produce denaro, ossia il divinizzato mostro dell'usura che è motore dei circuiti finanziari... Sraffa lo invitò a parlarne alla Bocconi, nel 1933, ma dubito sia stato capito».

Ancora, aggiunge la figlia di Pound, «erano sempre italiani i partigiani che lo prelevarono a Rapallo urlandogli traditore e che avrebbero potuto fucilarlo, se non avesse chiesto di essere consegnato subito alle forze americane. Lui parlò con assoluto candore e sincerità perché aveva la coscienza pulita, del resto non aveva mai tratto vantaggi dalla dittatura né fatto male ad alcuno. Si era esposto fuori da ogni zona grigia perché era nella sua natura libera da conformismi difendere ciò in cui credeva. "I stand exposed", aveva scritto già da giovane. Ma ormai era in moto la macchina giudiziaria che l'avrebbe stritolato senza nemmeno un processo». E qui si annoda un enigma dell'amletismo poundiano. Il poeta, racconta Mary, che con la madre Olga Rudge lo seguì fino alla morte a Venezia, nel '72, era «un uomo dalla fierezza gentile, un altruista estraneo a qualsiasi forma di violenza». Caratteri testimoniati pure da Eliot, Joyce, Hemingway e tanti altri che beneficiarono della sua generosa intelligenza e amicizia. Restano però, e pesano come imbarazzanti corpi di reato, i testi delle sue trasmissioni da Radio Roma e rivolti a Usa e Gran Bretagna nella stagione dell'ultimo fascismo. «So bene quello che disse perché ho fatto pubblicare in America tutte le trascrizioni integrali», racconta la figlia. «Per giudicare i suoi discorsi radiofonici — aggiunge — bisognerebbe mettere come tara la radicalità di uno che predica un'utopia da no-global ante litteram, che vede intorno a sé il rischio dello sfacelo e si sente "formica solitaria tra le rovine d'Europa". Aveva detto: "È dovere di ognuno tentare di immaginare un'economia sensata, e tentare di imporla con il più violento dei mezzi, lo sforzo di far pensare la gente"».

Fu vittima di un abbaglio? «Stando alla lezione impartita dalla crisi di questi mesi, pare di no. Non del tutto. Le sue invettive nascondevano piuttosto una forma di ira ingenua, espressa a volte in forme furibonde. Voleva arrivare al paradiso possibile, alla città eterna... Aveva una visione dantesca ed era molto critico verso Roosevelt, che era sceso in conflitto con l'Italia, e verso i finanzieri di Wall Street (e, faccio notare, che cosa dice in questi giorni il presidente Obama contro le banche?), in larga parte ebrei, ciò che favorì l'accusa di antisemitismo. Accusa ingiusta e basta pensare che i suoi più cari amici erano appunto ebrei — Aldo Camerino, Giorgio Levi, Manlio Torquato Dazzi e tanti altri — senza contare che nessuno di noi sapeva nulla della Shoah... Va considerato che Pound era un poeta, e quando un poeta si arrabbia pronuncia frasi terribili, sragiona, e lo stesso Dante bestemmiava contro la sua patria... Era tempo di guerra, una guerra che le parole dei poeti non potevano fermare. Non letteratura e propaganda ci voleva, ma saggezza». Dunque, Pound riteneva di non aver fatto nulla di male, di aver esercitato un «diritto alla protesta» sancito dalla Costituzione americana, «che voleva salvare nei suoi valori originari assieme alla cultura dell'Europa». Ma come giudicò se stesso, a posteriori? Si pentì? «Riconobbe i suoi sbagli, certo, e ci sono i frammenti poetici della vecchiaia a dimostrarlo: "Ammettere i propri errori senza perdere la rettitudine"... "Un uomo che cerca il bene e fa il male". Ma senza rinnegare se stesso o il fascismo in quanto tale, perché non era affar suo. E neppure poteva ritrattare la sua convinzione che il fascismo, allora, andasse bene in Italia, restando in fondo convinto di aver fatto una cosa giusta: era stato il primo a capire il dramma, sociale e culturale, al quale avrebbe portato una certa economia...».

«Nei suoi ultimi dieci anni di vita — conclude Mary de Rachewiltz — non parlò più con nessuno, e con noi familiari appena il necessario. Ora, siccome per la legge americana chi sta muto si dichiara innocente, quel silenzio poteva essere interpretato come una dichiarazione d'innocenza. Ma pentirsi di errori di giudizio non significa rinnegare. La realtà era più complessa: mio padre si era reso conto che non riusciva a farsi capire. "Il silenzio è la voce di Dio", mi disse il prete di San Giorgio dopo aver celebrato il suo funerale. Evidentemente, se continuano a fraintenderlo, quella sua lunga pausa non è bastata».

Marzio Breda

25/04/10

Criptopolitica vaticana

Nuzzi Gianluigi, Vaticano SpA, Chiarelettere, € 15,00


L'editore non è di quelli per cui siamo soliti spendere qualche parola, ma questo libro ci sentiamo proprio di sponsorizzarlo, soprattutto perché non è opera di un anticlericale e perché la documentazione raccolta proviene dall'archivio segreto di monsignor Dardozzi (1922-2003), tra le figure più importanti nella gestione dello Ior fino alla fine degli anni Novanta.

Diciamolo apertamente: a Roma è in atto una guerra di potere gigantesca le cui conseguenze potrebbero essere devastanti. E' infatti in gioco la credibilità stessa del Magistero ecclesiastico e a rischio la stessa missione di salvezza a cui la Chiesa è stata per divina e provvidenziale misericordia chiamata da oltre 2000 anni. Siamo certi che “Le porte degli inferi non prevarranno contro di essa” (Mt 16, 18), ma lo scandalo non si può più tacere e non si può più consentire ai "mercanti" di fare scempio del Tempio.

In questo preciso momento, il Santo Padre è impegnato in prima persona e a rischio della sua stessa vita (quando a essere in ballo sono giganteschi interessi economici, non c'è da scherzare) in uno scontro frontale contro quei “lupi travestiti da agnelli” che tengono le fila di un potere criminale insediato ormai da anni nella curia e persino nelle stanze vaticane più prossime al Papa. Chi sa deve parlare e denunciare. E' un dovere morale, civile e religioso a cui nessun cristiano può più sottrarsi.


24/04/10

Sentito addio al Cardinale Špidlík

CITTA' DEL VATICANO, martedì, 20 aprile 2010 (ZENIT.org).- Papa Benedetto XVI ha voluto essere presente questo martedì alla Messa esequiale nella Basilica di San Pietro per il Cardinale Tomáš Špidlík, dedicandogli una sentita omelia nella quale ha posto l'accento sulla gioia della Resurrezione.

Il Cardinale Špidlík, che aveva 90 anni, è morto venerdì 16 aprile a Roma. I suoi resti verranno trasferiti a Velehrad (Moravia) per ricevere la sepoltura.

Durante il suo intervento, il Papa ha ricordato alcune delle ultime parole pronunciate dal porporato defunto: "Per tutta la vita ho cercato il volto di Gesù, e ora sono felice e sereno perché sto per andare a vederlo".

"Questo stupendo pensiero - così semplice, quasi infantile nella sua espressione, eppure così profondo e vero", rimanda alla preghiera di Gesù: "Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch'essi con me dove sono io", ha spiegato il Pontefice.

"Penso che i grandi uomini di fede vivono immersi in questa grazia, hanno il dono di percepire con particolare forza questa verità, e così possono attraversare anche dure prove, come le ha attraversate Padre Tomáš Špidlík, senza perdere la fiducia".

Benedetto XVI ha affermato che la vita del Cardinale mostrava "la speranza e la gioia di Gesù Risorto", che "sono anche la speranza e la gioia dei suoi amici, grazie all'azione dello Spirito Santo".

"Questa sua testimonianza diventava sempre più eloquente col passare degli anni, perché, malgrado l'età avanzata e gli inevitabili acciacchi, il suo spirito rimaneva fresco e giovanile. Che cos'è questo se non amicizia con il Signore Risorto?", ha aggiunto.

Il Papa ha quindi sottolineato alcune caratteristiche del defunto, come il suo "vivo senso dell'umorismo, che è certamente un segno di intelligenza ma anche di libertà interiore".

"Sotto questo profilo, era evidente la somiglianza tra il nostro compianto Cardinale e il Venerabile Giovanni Paolo II: entrambi erano portati alla battuta spiritosa e allo scherzo, pur avendo avuto in gioventù vicende personali difficili e per certi aspetti simili. La Provvidenza li ha fatti incontrare e collaborare per il bene della Chiesa, specialmente perché essa impari a respirare pienamente 'con i suoi due polmoni', come amava dire il Papa slavo".

La cerimonia è stata presieduta dal decano del Collegio cardinalizio, il Cardinale Angelo Sodano, e concelebrata dagli altri porporati. Il Papa, oltre all'omelia, ha presieduto i riti dell'Ultima Commendatio e della Valedictio.

Dopo aver saputo della morte del Cardinale Špidlík, anche se si trovava in viaggio apostolico a Malta, il Pontefice ha inviato un telegramma di condoglianze al preposito generale della Compagnia di Gesù, padre Adolfo Nicolás.

Nel testo, ha definito il defunto "insigne gesuita e fedele servitore del Vangelo", e ha ricordato soprattutto la "solida fede, la sua affabilità paterna e la sua intensa opera culturale ed ecclesiale", in particolare come "conoscitore della spiritualità cristiana orientale".

Il contributo al dialogo teologico tra l'Occidente e l'Oriente cristiani da parte del Cardinale Špidlík, e del Centro Aletti da lui fondato, è stato fondamentale negli ultimi decenni, come ha riconosciuto Benedetto XVI il 17 dicembre scorso, presiedendo un'Eucaristia per il compleanno del porporato.

L'attuale direttore del Centro Aletti, padre Marko Rupnik, in alcune dichiarazioni rilasciate alla "Radio Vaticana" ha ricordato che il Cardinale Špidlík è stato suo padre spirituale e maestro di Teologia.

"Padre Špidlík aveva un flusso di persone che venivano a confessarsi da lui praticamente da tutto il mondo, e questo continuamente, fino alle ultime settimane. Tra questi, una grande parte erano sacerdoti e Vescovi", ha affermato.

"Con padre Špidlík abbiamo percorso in macchina più di un milione di chilometri sulle strade d'Europa. Lui cantava sempre: cantava in tutte le lingue. Siccome parlava 15, 16 lingue, allora cantava anche in tutte le lingue europee. Poi, improvvisamente si faceva serio e aprivamo un dialogo teologico spirituale profondo e nel corso di questo dialogo, molto spesso egli cercava di dare un'interpretazione spirituale di ciò che stava succedendo".

In particolare, padre Rupnik ha sottolineato l'importanza che per il Cardinale Špidlík aveva la bellezza che emanava dall'amore e dalla verità. "Il suo continuo osservare il mondo, la storia e il suo continuo commentare la storia, mi sembra un'intuizione sapienziale formidabile del discernimento proprio sul principio della bellezza. La realtà che non si presenta come amore realizzato o come la carne del vero e del bene che è la bellezza, per padre Špidlík non era convincente".


22/04/10

Un nuovo libro metapolitico: "Chiarificazioni ideali" di Giovanni D'Aloe

Sommario:

Prefazione, 5

  • Lefebvre, il Concilio e la politica della Chiesa, 11

  • "Von Mythos zum Christos" di Matthias Vereno, 19

  • Prospettive mondiali sull'Iran, 21

  • Storie di Orchi, 25

  • La Germania e la Cristianità-Europa, 28

  • Tecnocrazia e darwinismo nel sottosuolo nibelungico, 43

  • Abelia”, 47

  • L' Aquila e il Serpente (Per una simbologia del diritto), 51

  • La riscoperta del Capitano, 58

  • Bushidō, 64

  • India: appunti di viaggio, 69

  • Tradizione e contestazione, 78

  • Giasone, Sigfrido e l'anima europea, 84

  • I Maya esistono ancora, 88

  • La chiave metapolitica di un film incompreso, 97

  • Iconografia, iconoclastia, e idolatria nella Russia Sovietica, 102

  • Tradizione integrale ed Escatologia, 110

  • Nuove scoperte sui Maya, 124

  • La deviazione magica del XX secolo, 128

  • Rivelazioni di Galbraith sulla Seconda Guerra Mondiale, 138

  • Il "punto" sul Concilio e su Ecône, 142

  • Quando la vita è preghiera, 149

  • Requiem per la politica, 151

  • Dall'antica conoscenza sacra all'odierno tradimento scientifico, 159

  • La Paleolinguistica, 169

  • Il mulino di Amleto, 172

  • Franz von Baader, 176

  • Chi governa veramente il mondo?, 182

  • Dal Medioevo al Duemila: la millenaria disputa Ratzinger-Boff, 187

  • Tesi e antitesi: una polemica unilaterale tra cristiani, 199

  • La "gens" guerriera iniziatrice e ultimatrice del Cristianesimo, 204

  • Othmar Spann e la genuina socialità, 214

  • Il rosso e la conchiglia, 219

  • Disputa ecclesiologica tra continenti, 229

  • L'impero sotterraneo (Droga e Criptopolitica ), 234

  • Vecchie e nuove ipotesi su Atlantide, 239

  • Don Bosco e i misteri della politica europea, 247

  • Ernst Jünger e il suo apparente nichilismo, 252

  • Il nuovo gnosticismo al termine del millennio, 260

  • Qualche breve considerazione sulla crisi europea, 271

  • Bachofen e la dialettica dei sessi nella storia del Novecento, 274

  • Nietzsche e il tradimento di Dioniso, 288

  • "Eros e Thànatos" nella trimillenaria cultura europea, 296

  • Oltre i "complotti", 305

  • I colori simbolici (Origini di un linguaggio universale), 308

  • Solov'ev: un veggente metapolitico, 324

  • La questione pakistana e lo spettro della terza guerra mondiale, 333

  • Dal simbolismo alla terapia dei colori, 336


Il libro si può richiedere scrivendo al nostro indirizzo di posta elettronica:

alafata@yahoo.com

21/04/10

I due Imperi: l'aquila e il dragone


I due Imperi: l'aquila e il dragone
Il rapporto tra Oriente e Occidente dal confronto tra dinastie cinesi e Impero Romano.
A Palazzo Reale

Quando: Dal 15/04/2010 al 07/07/2010

Dove: Palazzo Reale - Museo

Piazza Duomo, 12 (Zona Centro Storico)

20121 Milano (MI)


Palazzo Reale guarda a Oriente e propone la mostra I due Imperi: l'aquila e il dragone dedicata proprio all'indagine sui legame tra Est e Ovest, mettendo a confronto le dinastie cinesi Qin e Han e l'Impero Romano.
La mostra abbraccia un periodo compreso tra II sec. a.C. e II sec. d.C. e toccherà quattro prestigiose sedi: Beijing, Luoyang, Milano e Roma, per un progetto espositivo risultato dalla cooperazione tra le più alte Istituzioni italiane e cinesi, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali della Repubblica Italiana e lo State Administration for Cultural Heritage della Repubblica Popolare Cinese. Si ammirano lungo il percorso guerrieri di terracotta, preziosi sarcofagi, drappi in seta, affreschi di epoca Han, modelli di case, pregiati utensili in bronzo ed oro, testimoni di un florido impero cinese, e molti dei quali mai usciti fin ora dai confini nazionali,. E poi maestosi gruppi statuari in marmo, affreschi, mosaici, utensili in argento, altari funebri, appartenenti alla tradizione artistica dell'Impero Romano e molto altro.


Natale di Roma

Afred Schuler. Dell'essenza della città eterna. Edizioni di Ar. Euro 18,00

Ad Alfred Schuler, "ultimus paganorum", figura centrale con Klages e George dell'ultima, selvaggia fioritura del pensiero tedesco nella Monaco del primo anteguerra, George dedicò ("ingenio Alf. Scolari") la sua PORTA NIGRA, violentissimo attacco poetico contro la Zivilisation. Alla sua memoria, democraticamente oscurata dopo la seconda guerra mondiale, è dedicata questa traduzione delle sue celebri conferenze, incentrate su Roma antica, che avvinsero Rilke.

http://www.edizionidiar.com/essenza.asp



19/04/10

Recensioni a "Giardino di trincee"


Nella foto la copertina dell'edizione in lingua spagnola

Nel nostro post del 10/03 u.s. stiamo raccogliendo le recensioni al libro di Sergio Fritz Roa “Giardino di trincee”. Tra le ultime è stata appena aggiunta quella dell'ottimo Claudio Lanzi, apparsa ieri sull'interessante e ben fatto sito della pitagorica casa editrice Simmetria di Roma (www.simmetria.org). Il link è il seguente:

16/04/10

Islam Nazismo Fascismo


Alberto Rosselli, ISLAM NAZISMO FASCISMO,
Edizioni Solfanelli, pagg. 152 - € 12,00

La storia degli intensi e complessi rapporti che, tra il 1933 e il 1945, intercorsero tra il Gran Muftì di Gerusalemme, Hajji Muhammad Amin al-Husayni, capo spirituale dei musulmani palestinesi, i movimenti panislamici, panarabi e nazionalisti sorti negli anni Trenta in Africa Settentrionale e in Medioriente e la Germania nazista e l’Italia fascista, rappresenta una delle vicende a sfondo diplomatico, politico-religioso e ideologico più interessanti e meno note di quegli anni.
I motivi che spinsero la più venerata, seppure discussa e chiacchierata, personalità religiosa del Medio Oriente e i movimenti nazionalisti nordafricani e mediorientali ad unire i propri destini a quelli del dittatore tedesco e — anche se con modalità e risultati diversi — a quelli di Mussolini suscitano infatti un’indubbia curiosità, aprendo le porte ad un dibattito che, nell’attuale contesto geopolitico ed economico internazionale caratterizzato dalla recrudescenza dell’estremismo islamico antisionista e antioccidentale, assume una valenza ancora maggiore e specifica, fornendo utili elementi di chiarificazione.

www.edizionisolfanelli.it

Angeli


Giorgio Agamben, Angeli. Ebraismo Cristianesimo Islam,

Neri Pozza, Pagine 2048, Euro 70,00

Teologi e filosofi, poeti e pittori non hanno mai cessato di interrogarsi sulla natura degli angeli. La loro immagine insieme splendida ed estenuata, pensierosa e feroce è penetrata così profondamente, oltre che nelle preghiere e nelle liturgie quotidiane dell'occidente, nella filosofia, nella letteratura, nella pittura, nella scultura, ma anche nei sogni a occhi aperti, nelle sottoculture e nel Kitsch, che una comprensione anche semplicemente coerente dell'argomento sembra impossibile.
Divisa in tre sezioni corrispondenti alle tre grandi religioni del Libro - Ebraismo, Cristianesimo, Islam - questa antologia riunisce per la prima volta in una accurata presentazione critica i testi più significativi mai scritti sugli angeli, da Origene a Tommaso d'Aquino, dalla Bibbia a Maimonide, da Avicenna al sufismo. Ne esce un'immagine completamente nuova, in cui le delicate creature alate che ci sorridono dai quadri di Giovanni Bellini mostrano improvvisamente i tratti terribili della milizia divina e quelli loschi di una sterminata burocrazia celeste, che tiene nelle sue mani non solo le fila dei rapporti fra il divino e l'umano, ma anche la stessa posta in gioco della politica occidentale.

Giorgio Agamben insegna Filosofia teoretica all'Istituto Universitario di Architettura di Venezia. Tra i suoi saggi più recenti: Homo sacer (Einaudi, 1995); Profanazioni (Nottempo, 2005); La potenza del pensiero (Neri Pozza, 2005); Il Regno e la Gloria (Neri Pozza, 2007); Il sacramento del linguaggio (Laterza, 2008); Nudità (Nottetempo, 2009).


13/04/10

Apocalittica, terrorismo e rivoluzione

Pasquale Arciprete, Apocalittica, terrorismo e rivoluzione. Radici religiose della violenza politica, Citta Nuova, Roma, 2009, pp. 720, euro 36.

di Paolo Garuti

Lo storico delle forme di pensiero a base religiosa che abitualmente – ed un po’ arbitrariamente – si declinano nei tre monoteismi dell’antico mondo mediterraneo (ebraismo, cristianesimo, islamismo) conosce la distinzione fra correnti profetiche, apocalittiche e gnostiche. Anche volendosi limitare al solo orizzonte biblico o a letterature ad esso prossime, il lettore s’accorge che, assai diversificate nel loro proporsi storico e difficilmente riconducibili ad una sola matrice (molti sono, infatti, gli influssi “esterni”: dalla teo-cosmogonia egizia alla mantica babilonese, dal dualismo mazdaico al medio-platonismo d’epoca imperiale romana), queste tre tensioni possono però schematicamente accostarsi ai tre generi di retorica canonizzati da Aristotele. Ci troviamo, infatti, in un universo scribale di cui s’intuisce, tuttavia, la scaturigine nella predicazione diretta e quindi nell’oralità finalizzata al convincimento, sovente accompagnata da gesti ed atteggiamenti parte integrante dell’ethos che il locutore vuole attribuirsi. Ma vi è un altro motivo: profezia e apocalittica hanno a che fare col tempo e coi tempi; ora, i generi di oratoria si suddividono per Aristotele non solo stabilendo il ruolo dell’oratore, lo stile che la situazione gli impone, il tipo d’uditorio e la materia del suo dire, ma anche (o soprattutto) considerando come si rapporta al tempo.

Da questo punto di vista, la predicazione dei profeti maggiori della Bibbia ebraica e di quanti, in differenti modalità, ne imitarono il comportamento, richiama il genere detto deliberativo. Il profeta è, sostanzialmente, un oratore politico, il quadro temporale sul quale ritiene d’agire è il futuro immanente. Chi lo ascolta, sia il sovrano o il popolo in assemblea, deve prendere una decisione, lo stile dell’oratoria politica e veemente e colorito, la sua logica binaria condizionale: se si attueranno le correzioni proposte dal profeta, gli avvenimenti prenderanno una direzione favorevole, se chi deve decidere non seguirà al suo consiglio, sarà la catastrofe. Il profeta parla dall’interno del sistema di potere, è un sacerdote, un consigliere, un capo-popolo entrato nelle cerchie decisionali. L’oracolo, la previsione condizionata all’agire del suo interlocutore, sono la sua arma principale. Per questa nostra breve nota, quel che maggiormente interessa è il rapporto che il profeta vive col mondo che lo circonda: poiché l’orizzonte storico è il solo in cui egli intravvede la possibilità d’una soluzione dei problemi di cui si occupa, questo è per definizione il migliore possibile. La sua azione è, pertanto, volta a correggere le storture presenti concepite come deviazioni dal piano divino. Tutta la responsabilità ricade sulle scelte del suo uditorio, spesso accusato di tali deviazioni. Nei grandi profeti biblici possiamo identificare due linee di definizione dell’orizzonte storico dal quale non e lecito uscire o nel quale si deve rientrare con moto di conversione (ritorno, inversione di marcia). La prime linea, esemplarmente rappresentata da profeti come Isaia o Amos, è schiettamente creazionista: l’azione del dio creatore definisce un codice cui deve adeguarsi ogni essere umano e ogni società, pena la caduta nel caos o l’annientamento. In nome di questa loro visione tali profeti emettono indifferentemente oracoli contro le nazioni o contro il loro stesso popolo: lo sbocco naturale della loro azione è un universalismo incentrato su Israele. La seconda linea, invece, è più legata al concetto d’alleanza, secondo un modello di fondazione delle tradizioni legali comune nell’antichità. Profeti come Osea o Geremia ne sono i rappresentanti più significativi. Le leggi di un determinato gruppo umano provengono da una scelta della divinità (scelta in fondo arbitraria) che giunge sino a condizionare la storia dell’intera regione e degli altri popoli al semplice ruolo di premio o castigo per l’osservanza o l’inosservanza del patto. In entrambi i casi, tuttavia, le cose stabilite per sempre da Dio sono buone e il gruppo umano può deviarne il corso in negativo come restaurarne l’originaria bontà tornando a compiere la volontà di Dio o adeguandosi al progetto politico avanzato dal profeta. In questo quadro, l’individuo vale solo in funzione del suo potere decisionale sul o nel gruppo cui appartiene: il suo destino particolare non ha che minimo rilievo. Nell’agire profetico, in fondo aristocratico, può aver luogo quello che definiamo terrorismo? Come strumento si. In tempi molto sospetti (poco dopo l’11/09/2001) scrivevamo:


«La Bibbia conosce, infatti, anche il terrorismo più freddo e calcolatore, e ne fa attore Dio stesso. Se il termine, al di la delle motivazioni, indica un’azione di guerriglia che colpisce indiscriminatamente la popolazione civile per ottenere un risultato politico, mi e difficile definire altrimenti le celebri dieci piaghe d’Egitto. Il Faraone, la vera causa dell’oppressione, è coinvolto, e di striscio, solo al termine della serie: intanto dagli uomini sino al bestiame (cf. Es 11,5), gli egiziani sono travolti in un crescendo d’orrore. Non è una guerra santa; Mosè ed Aronne non rischiano molto di proprio: in fondo sono in corso delle trattative. E' piuttosto una meditazione sulla storia: le cose “devono” procedere in questo modo. E' Dio che indurisce il cuore del Faraone (Es 7,3) e ad ogni piaga fa sì che non si lasci convincere del tutto. E' lui, il Dio degli eserciti, che innesca una strategia sin troppo logica: essenziale è non fermarsi, far seguire, a terrore, terrore; non bisogna permettere al potente Faraone di credere e far credere che si tratti di episodi. Ci vogliono tempi sufficientemente lunghi perché il suo cuore si pieghi del tutto, la dura cervice si spezzi, e gli egiziani arrivino a concedere, oltre che la libertà, le loro ricchezze. Altrettanto ce ne vuole perché gli ebrei liberati non cedano più alla tentazione di tornare là dove regnarono le tenebre e lo spavento». Modello del profeta giudaico, oltre a Mosè, fu Elia, capace di invocare e revocare la siccità, come di uccidere quattrocento sacerdoti di Baal in un solo giorno.

Al genere retorico giudiziario, che invece s’interessa dei fatti passati e da essi fa scaturire una sentenza d’assoluzione o pena, s’accosta per molti aspetti la mentalità e l’espressione apocalittica. A differenza della profezia, e in quanto espressione letteraria di gruppi emarginati o comunque incapaci d’apparire sulla scena politica per le vie normali ai tempi loro, l’apocalittica non sa disegnare alle sue speranze un orizzonte altrettanto positivo: l’azione corrosiva del peccato ha ormai condannato il kosmos (tutto ciò che sta oltre la pelle dello scrivente o della comunità cui appartiene, entità sovrannaturali comprese) alla necessità d’una rifondazione radicale. Nuovi cieli e nuova terra è il motto dell’apocalittico. A tale rifondazione si giunge per via di conflitto o di cataclisma: i combattimenti fra angeli e demoni, gli sconvolgimenti astrali, come i terremoti, sono complessi simbolici letterari destinati a proclamare la non-ineluttabilità del quadro presente, di solito dominato da una civiltà melting pot, per ciò stesso totalizzante e pervasiva, come quella imperiale romana. L’individuo e il gruppo, come in un tribunale, non sono chiamati a modificare dal suo interno la situazione storica, ma a giudicarla nel quadro d’un curioso processo in cui si gioca, nella condanna generale dell’umanità, il destino dell’accusatore. Tale apparente paralogismo e la molla che può fare del lettore o dell’autore apocalittico uno zelota o un sicario: “giustiziando” un nemico, nel corso di una più o meno disperata azione bellica, scrive il proprio nome nel libro della vita, si guadagna un titolo di giustizia. Il rapporto col passato, tipico della retorica di genere giudiziario, provoca due fenomeni letterari in molte opere apocalittiche. Il primo è detto dagli esperti pseudoepigrafia: consiste nell’attribuire ad un eroe del più remoto passato il racconto di avvenimenti a tutti noti e posteriori alla di lui morte (ma non alla redazione del testo) per accreditare l’esattezza delle sue eventuali previsioni. Il meccanismo funziona ancor meglio se combinato con una periodizzazione artificiale della storia umana: suddividere le epoche in settimane di anni e settimane di settimane di anni dà la certezza che tutto è concepito dal creatore come racchiuso in un periodo e che i periodi avranno un fine. Per questo, il termine “escatologia” s’addice più all’apocalittica che alla profezia, per la quale si dovrebbe parlare piuttosto di restaurazione. Il secondo fenomeno fa dell’apocalittica un esercizio eminentemente scribale e prevalentemente ermeneutico. Lo stile deliberativo è parecchio metaforico quando non iperbolico: per convincere l’uditorio (soprattutto se si tratta d’una massa: le masse hanno dura cervice, è rivelato) si debbono caricare le tinte. E il genus grande di cui parlava Cicerone: volendo far desiderare o temere quanto promettono o minacciano, poiché non possono descrivere il futuro in termini realistici, i politici (e i profeti) debbono parlare di decisioni storiche, di imminenti ed inauditi pericoli, di felicità durature, anche se stanno solo chiedendo d’appaltare la segnaletica stradale a un amico. Lo stile giudiziario, invece, richiede un linguaggio piano, il genus humile, cui ad ogni parola corrisponde una realtà ben determinata: un abigeato è un abigeato, come un furto è un furto. Non sono consentite metafore. Parrà strano, ma il rutilante stile dell’apocalittica, con animali compositi e mostruosi, lune che s’arrossano e soli che si spengono, si vuole descrittivo come un rapporto di polizia. Le metafore dei profeti (l’apocalittica non crea, interpreta un deposito tradizionale) vengono, in altri termini, prese sul serio. E' quella che chiamiamo catacresi, o lessicalizzazione delle metafore. Certe immagini, a forza di essere utilizzate, perdono il loro rapporto con il simboleggiato, non stanno più al posto di un’altra cosa, ma finiscono per entrare nel linguaggio comune di un gruppo umano. Si crea un codice: se “zampa” sta sistematicamente per “forza” dire «aveva zampe d’orso» e esattamente come dire «aveva la forza di un orso». Ciò permette un fenomeno tipico in apocalittica: la cosiddetta combinazione simbolica, che può avvenire con modalità continua o modalità discontinua. La modalità continua crea, ad esempio, il plesso allegorico che combina coerentemente la città imperiale, Roma, con l’immagine profetica dell’antica città devastatrice e sanguinaria, Babilonia, è l’identificazione di tali città con una prostituta avida, quale ancora i profeti vedevano in Gerusalemme. La struttura discontinua si ha quando i simboli non compongono un quadro coerente, ma accumulano attorno ad un fulcro i concetti simbolizzati che, al contrario, formano un insieme logico. E il caso degli animali compositi. Questi meccanismi sono resi possibili dalla presunzione che le metafore degli antichi profeti, lungi dall’esprimere in termini iperbolici realtà quotidiane e intrastoriche, avessero contenuto proprio e realistico. Tuttavia, l’ipertrofia e l’irrealizzabilità delle speranze apocalittiche possono essere una formidabile molla all’azione politica, anche violenta. Se non si riesce ad affermare la propria visione del mondo o, più semplicemente, il proprio diritto, si può negare la società oppressiva attuando assieme omicidio e suicidio, in una anticipazione individuale dello sconvolgimento sognato per la fine dei giorni.

Il terzo genere aristotelico di retorica e detto epidittico. E il genere dei discorsi d’apparato, dei panegirici o degli elogi funebri. Per estensione (epidittico significa dimostrativo) e anche il genere proprio della didattica. L’oratore, il maestro, non deve vincere i pregiudizi di un giudice o l’avversità d’una assemblea, deve solamente lottare contro la noia di chi ascolta ciò che in parte crede di sapere già. L’epidittica vive nell’eterno presente della scienza e dello spettacolo, il tempo è suo nemico, i simboli sono enigmi curiosi, cifre oscure d’una realtà caricata di sensi secondi. All’epidittica assomiglia la gnosi. Per lo gnostico i profeti parlano un linguaggio violento perché sperano che la materia di cui è impastato il mondo in cui vivono possa prendere forme migliori di quelle che ha o possa tornare all’idillio delle creazione. Gli apocalittici, dal canto loro, hanno ben visto che questa creazione è sbagliata, che deve sparire nel fuoco per dare luogo al mondo del sogno, ma non hanno capito che ogni creazione, poiché richiede una materia è un demiurgo che la plasmi a sua immagine, sarà perciò stesso un pasticcio penoso. Il maestro non deve convincere, deve mostrare, condurre alla conoscenza (gnosis); deve aiutare quell’atomo di luce divina racchiuso nell’opacità del corpo e della mente d’ognuno a liberarsi dai vincoli della speranza e dell’ignoranza per risalire all’empireo. Chi ascolta il maestro è uno spettatore avvinto dalla logica elegante d’una cosmologia abitata da terrori e potenze, da infinite caricature del vero: sarà buon discepolo se rifiuterà tutto ciò che vedono o vedranno i suoi occhi finché saranno impastati d’oscura materia. Inutile dire che lo gnostico non agisce nel politico né come consigliere, né come zelota: la sua è un’aristocrazia del pensiero che si raduna in scuole il cui linguaggio tutto afferma e tutto nega, poiché tutto rimanda all’altrove. Le uniche forme di disordine politico che possano dirsi veramente gnostiche sono l’agennesia, il rifiuto di generare materia-prigione, e il libertinaggio che ne costituisce sovente un corrispettivo logico (anche se gli eresiologi che combatterono la gnosi in nome dell’ortodossia non sono sempre testimoni oggettivi al riguardo). Solo apocalittica e gnosi sono, in grado diverso, utopiche, poiché non c’è luogo terreno (ou topos) in cui possano realizzarsi le loro speranze.

Ogni corrente ha il suo Messia. Il profeta invoca un dinaste che compia i destini della casa regnante e del popolo eletto: deve sorgere dalla storia e lottare nella storia, anche se i suoi giorni prendono sempre più, col passare del tempo e il cadere delle illusioni, l’aspetto d’una età dell’oro al termine dell’umana vicenda. Gli scritti apocalittici lo scorgono giungere dai confini del nostro universo, da fuori della storia. Il Risorto, per l’apocalittica cristiana, è precisamente colui che attraversa il confine della finitudine ed inaugura i nuovi cieli e la nuova terra. Per lo gnostico, almeno nella lucida visione di Pistis Sophia, se mai venne un messia in questo mondo di tenebre, egli venne in castigo. Una fiammella dell’eterna luce cadde per cupidigia nella materia e dovette attraversarne tutti gli strati, assumendo immagine d’uomo per sfuggire agli arconti che li governano, e scendere all’infimo, al nostro, per poi risalire, con pena, la scala dell’essere. Nel suo passaggio fra noi, ha rivelato agli umani un destino oltre la morte.

Gesù è stato rappresentato, nei vangeli canonici, come profeta e come apocalittico. E' profeta (il modello è sempre Elia) quando proclama le beatitudini o compie miracoli: si tratta di interventi rivelativi o taumaturgici d’origine sovrannaturale, ma tesi a ristabilire l’ordine naturale delle cose. Per il cieco di Gerico, in quanto essere umano, la condizione naturale è poter vedere. Gesu è apocalittico invece quando invita, raccontando la parabola della zizzania o altre simili, ad attendere l’ineluttabile e spaventoso castigo degli empi, opera degli angeli di Dio alla fine dei tempi, senza cercare d’anticiparlo con azioni umane violente. Le lettere deutero-paoline, Colossesi ed Efesini, testimoniano dell’attribuzione al messia Gesù di caratteri cosmici quali saranno poi sviluppati dalla gnosi cristiana: l’incarnazione inizia a sembrare una dolorosa battaglia condotta in campo avverso contro gli arconti del creato.

Abbiamo voluto riprendere per sommi capi (e in parte ridurre a caricatura) queste correnti del pensiero biblico o peri-biblico dell’antichità, per introdurre con alcune delucidazioni storico terminologiche le riflessioni del prof. Pasquale Arciprete, laureato in Scienze politiche presso l’Università degli Studi di Napoli e dottore in Scienze sociali presso la Pontificia Università San Tommaso in Roma. Il suo volume Apocalittica, terrorismo e rivoluzione, consta di settecentoventi pagine, ma non è che la pubblicazione della prima parte della dissertazione ad lauream: l’autore promette di stampare il rimanente in altri due volumi (cfr. p. 11). A tale parzialità dobbiamo, probabilmente, anche la curiosa sistemazione della bibliografia (pp. 685-696): molte opere citate nelle note non vi appaiono e quelle richiamate sono elencate, nelle diverse sezioni, per anno di edizione e non in ordine alfabetico. Manca una lista delle abbreviazioni e delle opere antiche, bibliche o extrabibliche, richiamate nel testo.

Iniziamo la nostra analisi dal capitolo secondo (L’apocalittica giudaica e la sua storia: pp. 128-217), poiché è quello più vicino alle nostre competenze. Incastonato fra una serie d’annotazioni sostanzialmente esatte e di informazioni senz’altro utili al lettore (che si suppone non biblista, ma politologo), affiora alle pp. 139-140 il taglio ermeneutico cui l’autore sceglie di aderire. Riportiamo il brano con i corsivi originali: «sostengo che l’apocalittica sia una spiritualità nata all’interno del ceppo religioso ebraico a ragione del contributo teologico fornito da più gruppi settari; questi, ritrovandosi ad un certo punto della loro storia emarginati dalle correnti teologiche dominanti, cominciarono a modificare secondo sviluppi autonomi posizioni religiose fino a quel momento unitarie, fino a dar luce a una peculiare visione generale del mondo e dell’esistenza, meglio capace di esprimere e rappresentare la propria condizione settaria, la propria aspettativa salvifica e il sistema di rapporti interpersonali che essi auspicavano con gli altri uomini. Proprio a motivo di questa sua origine settaria, l’apocalittica acquisterà quel suo caratteristico tono avvelenato e rivendicativo che la renderà capace di proporsi come ideologia ad hoc per le istanze di salvezza di ogni gruppo marginale e di causare riflessi imponenti sul sistema dei rapporti di potere dati». L’utopia eresia perenne era il titolo d’un libro di Thomas Molnar, tradotto in italiano nel ‘68. La definizione, che si vorrebbe più esatta delle precedenti, o meglio, piu capace di mettere in luce un aspetto particolare (il carattere settario), non convince del tutto sul piano storico letterario. I primi testi che definiamo solitamente apocalittici sono alcuni capitoli di Isaia (24-27; 65-66) e il Libro di Ezechiele: si tratta di opere prodotte da cerchie sacerdotali, difficilmente definibili come settarie, anche se gli autori si esprimono in tempi di crisi e in condizioni di oggettiva esautorazione. Non e quindi la separazione che crea la spiritualità apocalittica, ma un diverso rapporto con le speranze profetiche, di cui lentamente si perde di vista la realizzabilità intrastorica. Quanto a gran parte della letteratura apocalittica d’epoca ellenistico-romana, essa rispecchia senza dubbio l’ideologia e il linguaggio di comunità marginali e chiuse, ma non necessariamente settarie. Forse gioca, in questo giudizio restrittivo, l’effetto Qumran: gli esseni separatisti (secondo l’ipotesi di Florentino Garcia Martinez) di cui s’è ritrovata la biblioteca presso il Mar Morto possono effettivamente esser considerati frutto d’un duplice rifiuto dell’ebraismo templare dell’epoca e di un essenismo non radicale, ma ne creano il genere apocalittico, ne si sono distinti per particolare aggressività politica. Sempre sul piano storico, l’apocalittica, in quanto messaggio consolatorio, non risulta essere stata la molla delle rivolte giudaiche. Almeno a sentire Flavio Giuseppe, l’atteggiamento dei suoi correligionari assediati in Gerusalemme avrebbe dovuto essere modellato su quello che adottò Abramo quando il Faraone insidiò sua moglie: «Che fece allora suo marito Abramo? Si vendicò egli forse dell’offesa con le armi, pur avendo trecentodiciotto capitani, ciascuno con un grandissimo numero di soldati? Oppure stimò che costoro non erano niente senza l’aiuto di Dio e, protendendo le mani monde da impurità verso il luogo che ora voi avete profanato, si assicurò il sostegno dell’invincibile?» (Bell. V,9,380, trad. G. Vitucci). Giuseppe rimprovera ai rivoltosi l’empieta dei loro propositi di resistenza in nome d’un atteggiamento squisitamente apocalittico: la vittoria può essere data solo dall’intervento divino.

Il terzo capitolo del libro in esame (pp. 218-402: Riflessi storici dell’apocalittica (I): continuità ideologiche e comportamentali con le correnti rivoluzionarie contemporanee) identifica in sei elementi l’eredità apocalittica nel pensiero di alcuni gruppi antagonisti del nostro tempo. Il rapporto settario, disumano ed assolutizzato, coi sacri testi apre la serie. Il riferimento al fondamentalismo (o a una sua caricatura) pilota questa sezione. Il rapporto coi testi legislativi ed oracolari è storia lunga nei popoli antichi. E' vero che una legge scritta da Mosè su pietre poi celate in un armadio chiuso in una stanza buia dove poteva entrare solo suo fratello e gli oracoli gelosamente custoditi dalle scuole profetiche, come le cronache di palazzo, avevano finito secoli dopo e per moto di “laicizzazione” del diritto col comporre una biblioteca di pubblico dominio (biblia e un plurale) tradotta e riletta in greco ed aramaico e quindi consultabile da chiunque (ammesso che non si tratti che di una volgarizzazione dei testi custoditi dai sacerdoti). Questa maggior fruibilità dei testi legali e profetici scateno l’interpretazione, ma come i farisei presero lentamente il ruolo dei sacerdoti nella lettura dei dispositivi legali, alcuni circoli apocalittici s’interessarono all’ermeneutica dei profeti e della storia. In ciò non furono ne più ne meno abusivi dei farisei o dei sadducei (o dei cabalisti che vennero poi): si chiesero come avrebbe potuto realizzarsi il piano di Dio in mutate condizioni storiche, lo abbiamo visto. Le altre caratteristiche sono: un credo sovversivo e/o catastrofico, un agente divino che non risponde ad alcuna morale, il messianismo carismatico, il fare del gruppo settario la vera societa (vero popolo di Dio, vera Chiesa, ecc.), il congiungere in un’unica prospettiva ideale l’inizio e la fine della storia (escatologia protologica).

Nel secondo paragrafo del quarto capitolo (pp. 435-455 Giano bifronte: i due volti storici del movimento apocalittico parte del capitolo: Riflessi storici dell’apocalittica (II): modalità e dinamiche dell’intervento storico degli attori apocalittici, pp. 403-683) viene sviluppata l’idea di un «credo sovversivo e/o catastrofico»: i gruppi apocalittici moderni si differenziano per comportamenti quietisti o aggressivi. Questa duplicità, a dir il vero, scaturisce solo dalla definizione di apocalittica adottata dall’autore. Una definizione al contempo ampia, poiché sussume sotto la categoria d’apocalittica le caratteristiche tipiche della gnosi e della profezia, e ristretta, dato che ne fa il sostegno ideale di realtà sociologicamente marginali o emarginatesi. Gnosi e apocalittica sono forme di teologia essenzialmente consolatorie: portano pertanto al quietismo o ingenerano, al massimo, agennesia o terrorismo suicida per negazione dell’esistente. Questa fusione abusiva degli orizzonti ideali domina il quarto capitolo. Cosi la speranza della terra (squisitamente profetica ed immanente) deve, per Arciprete, aver dimensioni salvifiche e i movimenti operanti in Palestina ai tempi di Gesù (amalgamati nel calderone della guerra contro Roma, profeti compresi) divengono prototipi delle rivolte odierne.

Spesso lo storico racconta il suo vissuto più di quanto non renda ragione dei fatti lontani di cui vuole interessarsi. Pensiamo di poter ascrivere Arciprete, che di formazione è politologo, a questa categoria. La commistione terminologica di cui risente il suo libro gli deriva in realtà dal linguaggio odierno, frutto di sedimentazioni secolari e di mutazioni d’orizzonte: in quanto studioso dei fenomeni contemporanei, adotta ed usa i concetti nel loro presentarsi all’odierna coscienza. Buon rapporto circa le ultime evoluzioni non solo lessicali è, infatti, il primo capitolo del libro (pp. 7-127: Apocalittica e violenza terroristico-rivoluzionaria: il lungo filo rosso). Facendosi parte del difficile dialogo fra politici, filosofi e giornalisti, l’autore rende conto del vero Armaggedon lessicografico prodottosi nella pubblicistica corrente. Per fare un esempio e con esso chiudere queste note, il termine «millenarismo» è solitamente usato per indicare la certezza d’un travalicare prossimo dall’era dell’incompiutezza e dell’empietà al tempo della pienezza. Il tal senso, Osama bin Laden è detto millenarista dagli autori citati. Nell’Apocalisse di Giovanni (20,2-7), invece, il veggente, quando annuncia il millennio, compie opera di mediazione quasi dorotea. Da buon apocalittico vuole cieli nuovi e terra nuova, ma sa che i profeti (e gli ebrei che seguono la Bibbia) nutrono la speranza tutta terrena d’un regno dei giusti in questo mondo. Cosi fa incatenare Satana perché questo regno possa realizzarsi per mille anni prima dell’ultimo giudizio. Tanto, per lui, il numero dieci e i suoi multipli cento e mille indicano finitudine perché il dieci è la base del calcolo e ciò che si può contare non realizza la pienezza di Dio.

Pasquale Arciprete mantiene ed argomenta con chiarezza la sua tesi di fondo: «l’apocalittica e una funzione marginale e settaria del giudeo-cristianesimo, poi passata all’Islam, che da struttura ideologica assoluta alle derive violente della lotta politica dei gruppi antagonisti contemporanei». Ci auguriamo che i prossimi volumi trasmettano una descrizione critica e non aprioristica del nostro presente cosi mutevole e difficile da leggersi per noi che non abbiamo parte alla distanza teologale dell’apocalittico che tutto vede dall’alto e parla in simboli per esprimere le costanti storiche che nessun esempio del suo presente può manifestare appieno.

http://www.oikonomia.it/oikonomia/pages/2009/2009_ottobre/recensione_3.htm

(N.B. Le sottolineature e le messe in evidenza di alcuni concetti sono a cura del Corriere metapolitico)