28/04/12

Il libro del cavalier Borri



Giuseppe Francesco Borri
IL LIBRO DEL CAVALIER BORRI
A cura di Alessandro Boella e Antonella Galli
Pp. 256, 20 disegni, € 24,90

Presentazione
15 maggio 2012 ore 20.30
Libreria Aseq Via dei Sediari 10 Roma
Tel. 06 6868400 info@aseq.it

Sono qui presentate in prima edizione assoluta le parti più importanti del Libro del Cavalier Borri dove si descrivano molte operazioni de secreti della natura, manoscritto cartaceo del XVIII secolo lussuosamente legato e conservato alla Biblioteca Reale dell’Aja.
I motivi di eccezionale interesse per questa sorta di prontuario, che porta il nome di Giuseppe Francesco Borri (1627-1695), il più noto alchimista italiano dell’età barocca, sono molteplici, primo fra tutti il fatto che esso chiarisce molti aspetti della prassi alchimica specificata in funzione terapeutica, senza contare il suo notevolissimo interesse storico-scientifico.
Compilato da mano ignota, sulla base di indicazioni orali o scritte forse fornite dal Borri stesso negli ultimi anni della sua vita trascorsi nelle carceri di Castel Sant’Angelo, questo manuale comprende la preparazione dell’Oro potabile, del famoso e ambitissimo Balsamo cattolico, dell’Acqua Celeste (attrazione dello Spirito Universale), del Grande Arcano ovvero Mestruo, di varie Quinte essenze ed Elixir.
Il Borri, che come sottolinea Eugène Canseliet in Due luoghi alchemici (p. 78) «volle essere divulgatore dell’alchimia», fece vita avventurosa in tutta Europa ed ebbe accesso a fonti di conoscenza privilegiate che, associate a un’innata inclinazione mistico-visionaria, contribuirono a farne una figura complessa e affascinante, troppo spesso bistrattata, sia dai suoi contemporanei che dai suoi biografi più o meno recenti.
I curatori di quest’opera hanno voluto ampliare questo orizzonte, svolgendo ricerche in biblioteche e archivi europei.
L’importante introduzione Giuseppe Francesco Borri medico alchimista e riformatore e l’ermetismo europeo nel XVII secolo, incentrata soprattutto sulle sue qualità di medico, alchimista e visionario, senza che un aspetto prevalga sull’altro, intende restituirgli la posizione e la dignità dovute a un autentico iniziato e Adepto cosmopolita, offrendo un gran numero di informazioni, lettere, documenti, sconosciuti e inediti in Italia.
Si tratta, fra l’altro, delle strette relazioni del Borri con una fraternità internazionale di alchimisti denominata Società Cabalistica dei Figli della Saggezza ovvero Asterismo (sulla quale sono qui fornite per la prima volta in Italia tutte le informazioni attualmente disponibili), che lo sosteneva, e il cui capo, un misterioso Patriarca di Antiochia residente a Costantinopoli, era in rapporto con lo scienziato inglese Robert Boyle, come attesta la corrispondenza di quest’ultimo. Un altro membro importante di questa società, intimo amico del Borri, ebbe un ruolo fondamentale in un incontro fra rappresentanti della chiesa romana e di quella greca, avvenuto a Roma nell’agosto 1678, e patrocinato dalla regina Cristina di Svezia.
Benché ancora oggi sussistano pregiudizi e opinioni ostili o scettiche sul Borri, la maggior parte degli scienziati che lo conobbero lo considerarono un medico di valore e un autentico Adepto nell’arte alchimica: in primo luogo l’inglese Robert Boyle, nonché il danese Ole Borch (legato al Borri da una stretta e documentata relazione), e poi Kenelm Digby, Thomas Bartholin, Henry Oldenburg, Christiaan Huygens.
Non mancano importanti puntualizzazioni sulla relazione fra Le Comte de Gabalis dell’abate Montfaucon de Villars e alcune lettere del Borri contenute nel testo La Chiave del gabinetto a lui erroneamente attribuito.


D’illustre stirpe milanese, Giuseppe Francesco Borri (1627-1695), compiuti i primi studi al seminario gesuita di Roma, si dedicò alla medicina e dell’alchimia e, tornato a Milano, divenne uno dei capi del movimento quietista detto dei pelagini. Perseguitato dall’Inquisizione, iniziò nel 1658 le sue peregrinazioni per l’Europa, ove dispensò le sue cure mediche e venne in contatto con i maggiori scienziati del suo tempo. Data del 1667 il suo primo incontro con Cristina di Svezia, ad Amburgo. Nel 1670 fu infine catturato a Vienna e condotto a Roma, ove fu costretto all’abiura e condannato al carcere perpetuo a Castel Sant’Angelo, in cui morì molti anni dopo.

24/04/12

Un condivisibile commento di Giuseppe Gorlani al nostro post sull'India

Un anziano Sadhu con gli occhiali da sole

di Giuseppe Gorlani
L’aspetto davvero antitradizionale dell’India attuale non consiste tanto, secondo me, nel suo armarsi – ciò potrebbe inscriversi in un gioco di equilibrio con le altre potenze: bisogna essere forti per tutelare la pace – quanto nell’aver assunto in toto la modernità.
Alcuni giorni fa un amico appena ritornato da quel Paese mi diceva di come la diffusione della televisione, dei cellulari e dei computer e l’assunzione di una mentalità di tipo anglo-americano, fondata sull’idea assurda di un progresso illimitato, stessero distruggendone il tessuto tradizionale incentrato sul Sacro.
Laddove le vestigia del Sacro sussistono vengono banalizzate, rese spettacolo e commercio. I sadhu girovagano con moto e cellulari; il brutto, il volgare, la corruzione, l’inquinamento, la pornografia, l’alcolismo dilagano; la musica sacra viene trasmessa nelle discoteche associata a ritmi techno; i giovani si vestono con abiti occidentali firmati e mangiano carne di manzo; le caste sono state pressoché cancellate e se ne sussistono residui si sono ridotti a etichette burocratiche sancenti particolari privilegi; i divorzi aumentano e le famiglie si sgretolano; gli ashram, che dovrebbero essere centri di serenità e di introspezione, sono diventati, in numerosi casi, luoghi in cui prosperano l’avidità, l’ambizione e la maldicenza.
A ragione Alain Daniélou scriveva più di vent’anni fa in I quattro sensi della vita: «Quasi tutta la società europeizzata di Nuova-Delhi che governa oggi l’India è in effetti dal punto di vista indù una società di paria. Ciò spiega la perfidia con la quale essi combattono le istituzioni tradizionali che li rifiutano». Oggi le cose sono di gran lunga peggiorate; persino molti pandit sostengono che lo sviluppo tecnologico, ormai svincolatosi da ogni principio etico, non è contrario alla saggezza dei Veda e dei Tantra e auspicano una impossibile sintesi tra sapienza orientale e conoscenza scientifica. “Impossibile”, poiché il rapporto tra Conoscenza metafisica e scienza empirica non è di tipo dualistico, in cui si hanno poli complementari, ma gerarchico. La Conoscenza, infatti, include in sé la scienza, pur trascendendola infinitamente. Lo svadharma (il dharma inerente la natura propria di un essere), che costituiva la spina dorsale della Via dei Padri, è stato abbandonato. Oggi i giovani vengono spinti a diventare quello che il mercato richiede. E infine, Moksha, l’ideale della liberazione dall’ignoranza, che presso il Sanatana-dharma è sempre stato ritenuto il fine supremo dell’essere umano, si è ritirato in qualche irraggiungibile grotta himalayana quasi del tutto dimenticato.
Sembra che i valori fondamentali si stiano definitivamente dissolvendo nell’Era Oscura. Ma non bisogna disperare: la bellezza, l’amore, il bene, la pace continuano a vivere nei cuori di quelli che non si lasciano plagiare o intimorire dalla pochezza dominante e insistono a tenere aperto l’occhio della saggezza. L’Atman che in realtà siamo non nasce, non muore ed è un tutt’uno col Paramatman: l’ineffabile Presenza di Dio. Così insegnavano, insegnano e in ogni tempo insegneranno la Shruti e la Smriti, rifulgendo di una luce più splendente di mille soli.


23/04/12

"Giganti". Il libro di Daniele Piras in seconda edizione

"Giganti, le prove storiche di un'antica esistenza in Sardegna e nel Mondo", 
edizioni "Il Pittore D´Oro"

L'autore di questo libro già arrivato alla sua seconda edizione è Daniele Piras, sardo, studioso di filosofie orientali, religioni e antiche civiltà. L'ipotesi, non campata in aria ma basata su numerose fonti scritte, sacre e  profane, è che la Terra in epoche remote sia stata popolata da uomini di straordinaria statura fisica: i cosiddetti Giganti.  Piras non teme di manifestare la sua critica allo scientismo moderno: “Storia, Scienza ed  Archeologia ufficiali sono assimilabili a veri e propri credo cui gli adepti aderiscono in maniera  dogmatica ed assolutistica, ridicolizzando o peggio nascondendo qualunque scoperta “scomoda”  in quanto capace di compromettere la teoria dominante.” (p. 16)
La prima parte del libro è fondata su solide basi tradizionali, i Veda, e viene affrontata anche la complessa dottrina dei cicli cosmici. C'è poi il tema del Diluvio  Universale, anche se talvolta, soprattutto citando la Bibbia, l'autore manca di interpretare  correttamente la simbologia e la numerologia sacra.  Nella seconda parte ci si occupa invece della presenza dei reperti archeologici nel mondo che proverebbe la presenza dei Giganti, tra cui anche quelli presenti in Sardegna e infine delle  testimonianze degli autori classici. Non mancano anche immagini di reperti che  fanno riflettere.  Interessante nella conclusione del libro il tema dell'apprendimento della conoscenza mediante la chiave di lettura del Vedanta, che prevede quattro modalità: 1) la percezione sensoriale; 2) la logica 3) il  significato delle parole 4) la Tradizione. 
La lettura del libro di Piras è consigliata a coloro che non condividono i deliri di onnipotenza della  scienza, agli scettici della dottrina del darwinismo e a tutti coloro che rifiutano le menzogne e aspirano alla  verità.
(nota di Roberto Murgia)

22/04/12

AGNI V (ovvero l'antitradizione governa l'India)

Il missile balistico intercontinentale
Agni V
Agni pesa 50 tonnellate, la sua lunghezza è di 17,5 metri, il suo diametro di 2 metri. La portata massima di 5 000 km.

19/04/12

"Considerazioni sull’opera di René Guénon" di Frithjof Schuon: una nuova recensione

Frithjof Schuon, Considerazioni sull’opera di René Guénon, a cura di Aldo La Fata e Letizia Fabbro, Settimo Sigillo, Roma, 1992, pp. 87.

Se c’è un maestro della Tradizione che più d’ogni altro sembra essere avvolto da un’aureola di infallibilità dottrinale, quello è certamente René Guénon. Assai difficile, quindi, è immaginare che la sua autorità possa essere stata in qualche modo messa in discussione, e per di più da un testo scritto proveniente da quello stesso mondo spirituale ed intellettuale al quale egli appartiene. Tale infatti è il caso di questa piccola, ma assai preziosa, opera di un altro grandissimo maestro, Frithjof Schuon, il quale, ben lungi dal voler attaccare il messaggio complessivo di Guénon – che infatti non può che condividere totalmente -, né, tantomeno, la sua stessa persona; intende denunciare, con toni spesso aspramente polemici, le pecche di alcune sue affermazioni, e rettificarne opportunamente i contenuti.
Sia detto subito, prima di entrare nel merito, che discernere effettivamente quale sia la posizione dottrinale più corretta su questioni di grande delicatezza ed importanza, richiede certamente non solo delle qualificazioni personali e delle competenze notevoli, ma anche, o soprattutto, una grazia ed un’illuminazione che solo la divina Misericordia possono concedere. In tali condizioni, quindi, non ha alcun senso che i seguaci di uno dei due maestri si chiudano in una difesa acritica delle tesi del loro rispettivo mentore, magari scagliandosi contro i sostenitori di quelle avverse, giacché solo la Verità conta, e coloro che autenticamente pretendono di appartenere alla Tradizione, non possono che schierarsi unicamente dalla parte di Essa, la quale è infatti l’unica Autorità assolutamente infallibile.
Dunque, a parte questioni sostanzialmente trascurabili, che perciò tralasceremo, questo testo obbiettivamente riveste un’estrema importanza per l’uomo occidentale, ed europeo in particolare, in quanto la gran parte di esso si occupa delle possibilità oggettive che il Cristianesimo possa offrire in termini di via iniziatica e realizzazione metafisica. È fin troppo noto che negli ambienti che si interessano della civiltà tradizionale una delle questioni più controverse e spinose sia quella inerente ad un esoterismo cristiano, ossia: 1) se effettivamente ve ne sia mai stato uno; 2) se, premessa una risposta affermativa al primo quesito, e tralasciandone le sue forme specifiche, tale esoterismo sia ancora vivente ed accessibile a chi ne fosse degno.
La risposta di Schuon a questi problemi è assolutamente netta, e, apparentemente, del tutto fuori dagli schemi riguardanti il perimetro che delimita l’ambito prettamente iniziatico di una tradizione sacra, ed in particolare per quel che concerne i suoi normali rapporti con quello exoterico: il Cristianesimo non ha affatto necessità di costituire al proprio interno una via iniziatica, od esoterismo, sostanzialmente e formalmente distinti dal più generale ambito exoterico o religioso; per cui, i sacramenti istituiti da Cristo sono perfettamente validi per le finalità che caratterizzano entrambi i contesti; il che equivale a dire che non sono mai esistiti riti, o sentieri, iniziatici specifici, al di fuori di quanto ordinariamente stabilito per la vita Cristiana. Per parte nostra, dobbiamo dire che le tesi di Schuon, per quanto possano apparire estremamente ardite, siano del tutto inattaccabili, giacché egli le motiva affermando essenzialmente che: 1) Cristo, in quanto Dio, è la garanzia assoluta di tutte le promesse spirituali da Lui stesso espresse in termini incondizionati ai suoi seguaci; 2) che in nessun modo, per le medesime ragioni, i riti, o sacramenti, da Lui istituiti avrebbero mai potuto essere modificati in seguito, né nella loro essenza, e né quanto all’estensione della loro efficacia spirituale – chi mai potrebbe alterare l’operato di Dio? -; pertanto, essi sono in ogni caso validissimi sia per la salvezza dell’anima, che per la più pura e più alta realizzazione metafisica, che è l’unione perfetta con Dio. Dacché si deduce, necessariamente, che la Tradizione Cristiana va riconosciuta essenzialmente come una tradizione metafisica integrale, e che se tale non appare a certuni, ciò si deve unicamente alla loro insufficiente conoscenza di essa, o alla loro incomprensione.
La presente recensione, quindi, vale perlopiù come un caloroso invito, non solo alla lettura dell’opera di Schuon, ed alla seria riflessione sulle sue folgoranti tesi, ma anche, anzi soprattutto, ad un’immersione nella Sapienza Cristiana, la quale, paradossalmente, resta fin troppo sconosciuta proprio a coloro i quali ne sono i principali destinatari.

Giovanni M. Tateo



16/04/12

Ipotesi di complotto

Giuseppe Panella, Riccardo Gramantieri
IPOTESI DI COMPLOTTO
Paranoia e delirio narrativo
nella letteratura americana del Novecento
Edizione Solfanelli
Pagg. 160 - € 12,00

Dalla Quarta di copertina:

La teoria del complotto è la sostanza narrativa di gran parte della grande narrativa americana del Novecento. L’idea di una rete fittissima di avversari del modo di vivere americano che si sono annidati al suo interno per sabotarla e distruggerla contraddistingue tanto una serie molto inquietante di vicende politiche verificatesi fin dagli albori della “nascita della nazione” statunitense, quanto la letteratura che viene scritta e pubblicata, specialmente nel dopoguerra.
 Attraverso la ricostruzione della fortuna di questo tema in autori importanti e germinali del Novecento americano (si va da William Burroughs a James Ellroy passando attraverso Thomas Pynchon, Don Delillo, Kathy Acker, Philip Roth e in ambito fantascientifico Philip K. Dick, senza trascurare l’apporto del cinema, in particolare il celebre Dottor Stranamore di Stanley Kubrick), il tema viene condotto a mano a mano fino al suo nocciolo psicologicamente e sociologicamente più rilevante: la paranoia americana come “spirito della nazione” con tutte le tragiche conseguenze che essa ha comportato e che ancora attualmente comporta. 


11/04/12

I primi tre volumi di “Metapolitica” curati da Aldo La Fata: un omaggio a Silvano Panunzio

di Franca Alaimo

Aldo La Fata, amico ed alunno di Silvano Panunzio, cosi come  sua alunna si riconosce la scrivente nel senso più pieno dell’essere stata da lui alimentata con ottime “pietanze” per lo spirito, ha cominciato a raccogliere in volumi ( è stato editato già il terzo)  gli articoli, i saggi, le lettere, le interviste, i commenti apparsi via via nel tempo nei numeri della rivista “Metapolitica”, fondata da Panunzio e da Mario Pucci nel maggio del 1976 e la cui pubblicazione è stata interrotta a causa della morte del suo ideatore nel 2010.
Ovviamente lo scopo primo di tale operazione è quello di non disperdere un lavoro a cui, nel corso degli anni, molti altri illustri filosofi, scrittori, poeti, economisti, studiosi di parapsicologia come di metafisica occidentale ed orientale, sacerdoti, italiani, e non solo, collaborarono, costruendo ( cosa di cui bene ci si avvede ad opera finita, così come il disegno di un arazzo si rende riconoscibile solo quando gli ultimi fili sono stati intrecciati  e la tessitura ultimata ) una sorta di monumento sapienziale di straordinaria  efficacia e bellezza, utile soprattutto a quanti si siano già posti in cammino alla ricerca di una verità non contingente, nozionistica o “nazionalistica” e nemmeno specificatamente ritualistica,  ma  sovra-temporale e sovra-religiosa, perfino, se s’intende per religiosa un insieme di norme  e riti sentiti come i soli e “giusti” strumenti di crescita metafisica.
Un altro scopo è quello di ricordare tanto a quelli che furono abituali lettori  della rivista che  a quelli che magari stanno per la prima volta  scorrendo i volumi curati da La Fata, come la sapienza autentica non solo non corra mai il rischio d’essere sorpassata  dalle nuove conoscenze e logorata dal tempo, ma come, invece, illumini il momento presente e ne tragga, a  sua volta, lume, dimostrando la coerenza progettuale del destino escatologico a cui l’umanità è chiamata.
Nonostante il numero sempre crescente dei collaboratori, direi che l’impronta più evidente, quella che conferisce, pur tra diversità di posizioni, una voce coerente alla rivista, è sicuramente quella lasciata da Silvano Panunzio, il quale, a dire il vero, spesso, nutrito com’era il suo intelletto di letture e l’anima sua di meditazione e contemplazione quotidiane,  firma testi di difficile comprensione per il semplice lettore, come lo fu e purtroppo è la scrivente, sempre grata che alla sua piccolezza lui abbia dedicato ascolto ed affetto e l’onore della dedica dell’ultimo dei libri che hanno costruito l’ampio ed arduo  “corso” di Dottrina dello Spirito. E, tuttavia, a nessuno può sfuggire, nemmeno al più distratto lettore, come tanta cultura non costituisca un’impalcatura noiosa ed imbalsamata, ma una sorta di lievito fermentante che consente la crescita dello spirito attraverso il dialogo aperto, il confronto senza pregiudizio anche con le idee e le ipotesi più diverse, perfino a-scientifiche, se quest’ultime siano riconosciute  quale frutto di purezza di spirito e visionarietà angelica.
Infatti, Silvano Panunzio, come del resto tutti i suoi collaboratori ed amici, si mostra come pellegrino che cerca  la Verità tenendo presente la domanda altissima dell’arcangelo Michele ( alla devozione per il quale  si deve la fondazione dell’Alleanza Trascendente Michele Arcangelo): Chi come Dio?, conservando cioè nel cuore la virtù  dell’umiltà, che spesso lo faceva apparire agli occhi degli amici un meraviglioso fanciullo. E soprattutto non gli sfuggirà una caratteristica del suo procedere intellettuale-spirituale,  (che influenzò , come posso testimoniare in qualità di amica e  assidua corrispondente epistolare, anche la sua esistenza  biografica) secondo un sovrasenso simbolico,  che gli permette  di  sviluppare una lettura  degli eventi terreni e  celesti attraverso una serie di corrispondenze  ed una fitta rete di rapporti matematico-astrologici, che rimandano all’ antica e regale sapienza dei Magi, i sapienti astrologhi che videro e adorano Gesù bambino.
Infatti, superando a volo tutti i motivi di scontro tra popoli e fedi, Silvano ed i suoi collaboratori cercano davvero di legare insieme sia le patenti  che  le sotterranee verità comuni alle grandi religioni dell’umanità, attingendo dall’Oriente come Dall’Occidente, dal passato come dal Presente, dalla saggezza dei testi sacri fondamentali come quelli dei sapienti più recenti, dal profetismo storico come da quello dei mistici moderni.
Si giunge cosi ad una visione ecumenica, che, talvolta, dà le vertigini e che infonde, però, quella letizia che accompagna la comprensione del mistero di Dio e del mistero dell’Uomo. Perché, se ad un primo approccio tanta sapienza potrebbe apparire  “astratta”, cioè non riducibile a una dimensione umana, si dimostra, ad una più attenta disanima, capace di reggere pienamente il confronto con la dimensione terrena e dare una spiegazione a guerre, crisi, scismi religiosi ed ideologici e adattarsi perfino alle dinamiche proprie della vita di coppia, motivandone dalle radici più profonde  la crisi e l’incomunicabilità. Perfino il ruolo della profezia sembra ritornare, grazie a certe pagine, il suo più profondo significato di lettura degli eventi alla luce di un’ideale e mistica sovratemporalità.
Chi legge o rilegge queste pagine si trova anche a dovere fare i conti con la “debolezza conoscitiva” della propria fede, così da essere spinto ad una più attenta comprensione dei testi biblici, effetto che desiderava sommamente il nostro Panunzio, il quale dichiarava di avere imparato a memoria l’Evangelo all’età di otto anni e di potere impiegare anche un’ora nella recita del pater noster e che non cessava di stupirmi nelle sue risposte ai quesiti che gli proponevo circa l’interpretazione di certi passi  dell’evangelo a me più enigmatici.
Aldo La Fata, prima di intraprendere questo lavoro, mi scrisse di se stesso che può pure “passare via”, ma che Silvano Panunzio non deve e non può. E non posso che dargli ragione “toto corde”.
Mi sembra, infatti, che a parte qualche sapiente vegliardo ancora in vita, non ci siano più al mondo Maestri di una statura culturale e intellettuale e sapienziali che possano sostituirlo. Egli fu è resterà uno dei pilastri della Sapienza Universale, uno dei più convinti assertori della superiorità del Cattolicesimo quale apice del cammino verso l’Assoluto tracciato dall’Umanità nel corso dei millenni, in quanto contenitore delle verità e delle fondamentali dottrine di tutte le religioni.
Aldo La Fata, dunque, lega il suo nome a quest’opera ed è, immagino, il suo modo di dimostrare la propria fedeltà ad un grande amico e maestro, che manca a lui,  come a me e a tutti quelli che lo conobbero per l’eccezionalità del suo essere  uomo, amico, credente e scrittore.