30/05/12

A Montepulciano Convegno internazionale su Elémire Zolla

Si apre martedì 29 maggio, alle 16,00, a Montepulciano, il convegno internazionale “Labirinti della mente – Visioni del mondo: il lascito intellettuale di Elémire Zolla nel XXI secolo” dedicato alla figura ed all’opera dello scrittore e filosofo, nel primo decennale della sua scomparsa.

L’incontro proseguirà fino a giovedì 31 attraverso sessioni di studio ma anche eventi e spettacoli e si svolgerà presso la Sala Master del Palazzo del Capitano, in Piazza Grande.

Il convegno è organizzato dall’AIREZ
, l’Associazione Internazionale di Ricerca Elémire Zolla, costituita dalla vedova Grazia Marchianò nel 2009, e dalla Fondazione Berendel, Londra. E’ inoltre patrocinato dalla Regione Toscana, dal Comune di Montepulciano e dalla Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO.

L’incontro si ispira ai temi maggiori
del pensiero dello scrittore anglo-italiano, la cui opera omnia è pubblicata dall’Editore Marsilio; vi parteciperanno, insieme a studiosi italiani e del Gruppo di Ricerca AIREZ, storici delle religioni, orientalisti e antropologi provenienti dagli Stati Uniti, dal Canada, dalla Bulgaria e da Malta, e con loro il massimo esperto di cabala ebraica, Moshe Idel, specialisti dei tanti campi di cui Zolla fu maestro: antropologia culturale, orientalistica, letterature comparate, filosofia del Rinascimento, studi esoterici e religiosi.

Zolla e Montepulciano

Nell’autunno del 1991, non appena si congedò dall’Università di Roma, dove per oltre vent’anni aveva tenuto la cattedra di Letteratura Americana, Elémire Zolla scelse con la moglie, l’orientalista Grazia Marchianò, già professore di estetica all’Università di Siena – Arezzo, di andare a vivere in una casa silenziosa, nel Centro Storico di Montepulciano.

Maestro del pensiero del secondo Novecento e cittadino del mondo, a chi lo interrogava sui motivi della scelta Zolla spiegava che, dopo aver viaggiato in quattro continenti, in Toscana e proprio a Montepulciano aveva trovato il luogo più adatto e pacifico per dedicarsi alla scrittura e ricevere gli amici di tanti paesi.

Gli piaceva aggiungere che “Montepulciano” è l’unico nome di luogo che contenga tutte e cinque le vocali dell’alfabeto italiano, un piccolo mondo a sé dove ogni pietra evoca la grazia di un illustre passato. Zolla, nato a Torino nel 1926, morì nel 2002 ed è sepolto nel cimitero storico di Montorio.

Il Convegno
Il Convegno ospitato dalla Biblioteca Archivio Piero Calamandrei nella Sala Master del Palazzo del Capitano, in Piazza Grande, avrà inizio alle ore 16 del 29 maggio, e si concluderà il 31 maggio alle ore 20.

Una visita guidata alle bellezze storico – artistiche di Montepulciano sarà offerta agli ospiti stranieri la mattina del 30 maggio.

Concluderà la manifestazione, la sera del 31 maggio, alle 20.00, presso Il Cantinone Arteteatri, uno spettacolo esotico molto speciale di danza in maschera Topeng e musiche tradizionali di Bali proposto dalla Compagnia The PirateShip. L’artista Enrico Masseroli, solista nella danza “Lo Straniero riconosciuto”, sarà accompagnato da sei musicisti in costume che utilizzeranno strumenti tradizionali (gamelan).

Durante l’incontro saranno presentate le prime ristampe delle opere zolliane: I letterati e lo sciamano, e Uscite dal mondo, assieme a Il conoscitore di segreti, la biografia intellettuale di Zolla, di Grazia Marchianò (Marsilio 2012).

Al convegno partecipa anche il gruppo di giovani studiosi dell’A.I.R.E.Z., co-autori di un Dizionario Zolliano di Parole-Chiave, pubblicato nella rivista dell’Associazione, Conoscenza religiosa, 1,2012. Il pomeriggio del 31 maggio gli autori delle 4 voci giudicate migliori riceveranno il Premio Zolla di ricerca istituito proprio in occasione del decennale.


29/05/12

La Musica Occidentale e la Tradizione. Metamorfosi dell'Armonia

Jacques Viret: La Musica Occidentale e la Tradizione
Metamorfosi dell'Armonia
cura e traduzione di Antonello Colimberti
Ed. Simmetria, euro 14,00
http://www.simmetria.org

Esistono dei princìpi musicali? E si può tornare ad essi? Fino a non molto tempo fa era proibito anche solamente porre domande del genere. Oggi la risposta affermativa ad esse non soltanto non denota un sintomo di un atteggiamento reazionario e risentito verso la storia della musica, ma addirittura rende ragione delle pratiche musicali più all’altezza dei tempi. Quali? E come è potuto avvenire tutto ciò? Jacques Viret in questo brillante e sintetico saggio ci offre non solo la spiegazione più lucida dei fatti, ma una esemplare visione di Musica Perennis , capace orientare correttamente chiunque abbia a cuore quel “misticismo come acusticità”, che Elémire Zolla nominò ormai mezzo secolo fa.
 
Jacques Viret (Losanna 1943), musicologo francese di origine svizzera, pianista e organista, ha insegnato dal 1972 al 2009 all’Università di Strasburgo. Specialista di canto gregoriano e di musica medievale, oltre ad una serie pregevole di opere monografiche su vari temi e momenti della storia della musica, ha nel corso del tempo elaborato una scienza integrale della musica fondata sulla nozione perennialista di Tradizione, il cui frutto più maturo è il volume Le Chant grégorien et la tradition grégorienne , Lausanne, L'Age d'Homme, 2001.
 
Antonello Colimberti (L’Aquila, 1962), antropologo del suono e del gesto, si dedica in particolare agli incontri fra tradizioni arcaiche e/o etniche e forme di sperimentazione contemporanea. Tra le sue ultime pubblicazioni si ricordano la cura dei volumi Ecologia della musica. Saggi sul paesaggio sonoro , Donzelli Editore, Roma 2004, e Marcel Jousse: un'estetica fisiologica , numero monografico della rivista di studi filosofici "Il cannocchiale", n.1-3, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2005.


26/05/12

Note sulla replica di Alessandro Scali


di Giuseppe Gorlani

Cercheremo di rispondere alle osservazioni di Scali punto per punto. La prospettiva assunta è quella della Tradizione indiana, mirabilmente dotata di analisi e di sintesi ad un tempo:

è proprio a causa dell’ampiezza semantica del termine “spirituale” che si avverte la necessità di una maggiore precisione. Parlare di un “potere spirituale” senza ulteriori chiarificazioni non può che dar adito ad equivoci, giacché con il termine “spirito” ci si può riferire all’Ineffabile che trascende in assoluto la materia, all’Arché, allo pneũma kai alétheia, al Soffio che alita sulle acque, oppure anche ad una forma di materia più sottile rispetto a quella percepibile dai cinque sensi. Scali nota che simili riflessioni «appaiono poco utili nello specifico». Per chi scrive, tuttavia, lo “specifico” non consiste tanto nel disquisire sul rapporto tra i poteri spirituale e temporale all’interno della visione dantesca (cosa sicuramente di grande importanza), quanto nell’estendere la riflessione ad un livello normativo, universale;

in tutta sincerità, non ci sembra di essere usciti fuori tema. Come si può comprendere Dante se non se ne colloca il pensiero in un corpus di dottrine tradizionali capace di soddisfare l’intelletto e il cuore?

il discorso resta poco chiaro: che valore può avere la reverentia o una sedicente subordinazione se non le si traduce in norme relazionali razionalmente comprensibili? Qualora si insista a considerare i due poteri, quello sacerdotale e quello regale, distinti e il secondo del tutto indipendente ed autonomo rispetto al primo, la reverentia assume un carattere puramente formale, non effettivo. Può darsi che ci sia una chiave che permette di accedere ad una maggiore chiarezza, ma si ha l’impressione che non venga porta. Con ciò non si intende minimamente tacciare Dante né il suo esegeta di essere extra traditionem. Il Sanatana-dharma ammette sei darshana, ciascuno dei quali include una vasta gamma di dottrine, anche assai diverse tra loro. La forma mentis orientale – che ci si augura di aver assorbito almeno un po’ – consente una notevole elasticità nel discriminare tra dottrine ortodosse ed eterodosse;

– questo punto è assai importante, poiché tocca il nucleo della questione. Che cosa significa invertire la gerarchia tra il mondo dei princìpi e quello terreno? Scali riprende lo stesso concetto anche nella parte finale del suo intervento: «Non è insomma chiaro che nelle vicende mondane lo spirituale si “subordina” (scil.: viene dopo) al temporale, proprio in funzione anagogica? Nel mondo dei princìpi si comincia dall’alto, […] in quello terreno dal basso […] a mettere ordine». Per commentare adeguatamente, non ci si può esimere dallo spostare l’attenzione sul rapporto tra l’Uno e i Molti, tra Immanifesto e Manifesto. Le dottrine tradizionali non sono univoche in proposito. È legittimo chiedersi: come può lo Spirito subordinarsi al temporale in funzione anagogica se, in un qualche modo, non lo essenzia? Solo lo Spirito ritorna allo Spirito; in altre parole: si parte dalla mèta. Ciò significa che il temporale non potrà mai avere una sua realtà assolutamente separata dallo Spirito. Così, per esercitare la giustizia, non sarà sufficiente un potere temporale non guidato dalla Grazia dello Spirito. Per “giudicare” occorre lasciarsi ispirare dalla saggezza che non impedisce la pena, bensì il disprezzo o l’odio per il peccatore, nel quale il giudice riconosce un aspetto di se stesso. Una giustizia che non abbia già in sé la pace, non promuoverà mai pace. «Il vero potere può solo venire dall’Alto» (René Guénon). Il rapporto dunque tra il potere spirituale e quello temporale non è riducibile a semplice reverentia del secondo nei confronti del primo. Piuttosto, ci sembra più corretto parlare di sottomissione, di ubbidienza, fermo restando che tali qualità debbono essere abbracciate liberamente, per comprensione. In questo, sì, la sfera temporale ha autonomia; essa è in grado di scegliere se lasciarsi dirigere da un potere superiore o no. Pensare che i due poteri siano nettamente divisi e che per ottenere giustizia si debba partire dal basso è secondo noi un errore fomite di gravi conseguenze. Da un tale fraintendimento sono puntualmente scaturite azioni incapaci di preparare il terreno per il trascendente. La Storia ce lo insegna ad abundantiam.

forse sarebbe superfluo sottolineare la reverentia di chi scrive per la gigantesca statura di Dante. Non riusciamo inoltre a distinguere radicalmente la sfera spirituale da quella temporale; si tratta in fondo di una distinzione puramente strumentale, dalla quale non ci si può esentare, ma che va utilizzata nella consapevolezza della sua relatività.

anche qui si tocca un punto nodale. Si accenna ad una «“sostanza inferiore a Dio” in cui si unificano i due poteri». Non si capisce, però, se con essa si vuole indicare lo stato principiale, oppure quello sottile. Il riferimento al Brahâtma, in cui si unificano Mahâtmâ e Mahânga, la grande anima e il grande corpo o mezzo, indurrebbe a propendere per il secondo, rappresentato, sul piano individuale, dal vijñânamayakosha o buddhimayakosa (la guaina o involucro fatto di intelligenza noetica), e, su quello cosmico, dall’hiranya-garbha: “il germe d'oro”, l'“uovo cosmico”, la totalità della manifestazione sottile. In ogni caso, sia che ci si riferisca alla dimensione causale che a quella sottile, i due poteri non si incontrerebbero, bensì quello temporale discenderebbe da quello noumenico. La tesi che sostiene il contrario ci risulta logicamente inaccettabile. Non a caso, riguardo al sacerdote, si parla di pontifex; egli infatti funge da ponte tra la dimensione principiale e quella sottile inferiore e densa. Quale giustizia potrebbe essere mai esercitata se la mente dicotomica e l’azione che da essa deriva non fossero guidate dal lógos, inteso come noũs o buddhi, punto di congiunzione tra il sovrumano e l’umano?

Venendo all’ultima parte della replica di Scali, concordiamo nel ritenere giusto per l’uomo di tradizione rispettare i doveri legati a questo mondo, purché non entrino in contrasto con i doveri connessi alla salvezza dell’anima. «[L’Anima] è al di sopra della legge, / Ma non contro la legge», scriveva Margherita Porete. Il compito di mantenere vivo il contatto e l’orientamento verso il metafisico non si riduce certo a cosa astratta, ma di necessità coinvolge integralmente l’uomo. Ci sembra invece parecchio azzardato ritenere che l’etica si imponga con la spada; semmai la spada dovrà tutelare con estrema parsimonia, onestà e lungimiranza l’etica irradiata dalla sfera sacerdotale, ovvero dal noũs. L’esempio dell’intervento in Serbia delle forze Nato, caldeggiato da Giovanni Paolo II, ci convince ancor meno. Sarebbe come incaricare un malfattore, che ha derubato ed ucciso dieci persone, di assassinare un suo collega che ne ha uccise undici. I risultati, del resto, sono sotto gli occhi di tutti.
E infine, non ci sembra che riflettere su questioni della massima importanza equivalga a “fare accademia”.

24/05/12

Potere spirituale e potere temporale in Dante. Alessandro Scali replica a Giuseppe Gorlani

   
di Alessandro Scali 
 
Amici, le osservazioni di Gorlani mi chiamano a due risposte: la prima a nome e per conto di Dante, spirito intransigente e mordace; la seconda sarà la mia, tenuta a bada e stringata per quanto possibile.

Quanto a me, una volta osservato: 

-                     che i dotti rilievi sull’insufficienza della classica ripartizione “temporale-spirituale” non considerano l’ampiezza di significato  comunemente attribuita al secondo termine, per cui poco utili appaiono nello specifico;

-                     che il tema è stato spostato su tavoli inesistenti, atteso che l’idea che i due poteri non siano gerarchicamente ordinati non ha mai attraversato mente e intelletto di Dante (e pertanto nemmeno la volgarizzazione del suo umile scudiero). Bisognava prima capire perché Farinata degli Uberti staziona nell’Inferno, e perché  Giustiniano, in paradiso, si relaziona prima con papa Agapito;

-          che non è bastato né a Dante rimarcare: “Illa igitur reverentia Caesar utatur...”, né a me di sostenerlo con “...la funzione temporale sia subordinata a quella spirituale...”, integrato poi col praestantior di Giona d’Orleans, per uscire dalla taccia di essere ambedue  extra Traditionem;

-          che l’etimologica speculazione del critico sul “subordinato” dimentica l’inversione di gerarchia che si determina tra il mondo dei principî e quello terreno, per cui preordinato e subordinato si ribaltano (come Dante tra Inferno e Purgatorio);

-          che con tutta evidenza il prefato evita sia di sterilizzare Dante e la sua Monárchia, sia di demolire le fonti citate a rincalzo (colonne della dottrina cristiano-cattolica), eventualmente citandone altrettante non meno autorevoli e di opposta valenza (ma rimanendo in temporalibus);

-                     che il suddetto, pur avendo presente Evola e Guenon, non si è accorto che la posizione dantesca è esattamente quella che trova il punto di equilibrio, nella nota divergenza tra i due intercorsa, in quella “sostanza inferiore a Dio”, in cui si unificano i due poteri, identificabile nel cristianesimo in Meiki-Tsedeq (Re di pace e di Giustizia) così come nella tradizione induista nel Brahâtmâ si unificano Mahâtmâ e Mahânga;

poco rimane da aggiungere, salvo il rammarico di confessarvi che tutto ciò è di nano-importanza rispetto allo sgomento nel vedere ancora ignorato il dramma che stringe soprattutto i popoli cattolici, e in particolare il nostro, dramma esistenziale che inutilmente Dante ha interpretato e denunciato. Traduco: è possibile che ancora non ci si renda conto che è giusto sia dire: bisogna perdonare l’assassino, come predica la Chiesa, sia richiederne la dura condanna, come la giustizia reclama? Il cattolico che non distingue tra i doveri legati a questo mondo e a quello superiore ha preso terra a Babilonia: non corrisponde né agli uni né agli altri. Si rifletta invece sul perché, a fronte di queste  legittime opposte posizioni, fu lo stesso Giovanni Paolo II a richiedere che si intervenisse militarmente in Serbia, dove la guerra etnica aveva scatenato forze sataniche.
Non è insomma chiaro che nelle vicende mondane lo spirituale si “subordina” (scil.: viene dopo) al temporale, proprio in funzione anagogica? Nel mondo dei principî si comincia dall’alto, (dal “Quarto” upanishadico e dionisiano), in quello terreno dal basso (l’inferno) a mettere ordine. E nemmeno è chiaro che nel contesto sociale l’etica si impone con la spada (la legge), onde preparare il terreno per il trascendente, e che viene sempre prima la giustizia e poi la pace?
E sopraintende alla giustizia terrena il potere temporale o l’autorità spirituale, cui spetta unicamente il compito di mantenere vivo il contatto col metafisico, elaborandone (la ruminatio) il simbolo?
 E’ possibile che su fondamentali di quest’ordine ci sia ancora chi fa accademia?