16/10/12

Meinvielle e le molteplici dimensioni dell'uomo


 Julio Meinvielle (1905-1973)

Lo scritto che segue è stato espunto dall’interessante e stimolante volume del filosofo e metapolitico argentino Alberto Buela “Pensamiento de ruptura” (Editorial Theoria, Buenos Aires 2008). Si tratta della trascrizione di una conferenza pubblica che Buela tenne insieme al fratello sacerdote Carlos nell’anno 2005 in occasione del centenario della nascita del Padre Julio Meinvielle (1905-1973), figura di prim’ordine tra i teologi e i filosofi d’ispirazione aristotelico-tomista del Novecento,  ma fortemente osteggiato dai cattolici cosiddetti liberali e progressisti per la connotazione aristocratica e controrivoluzionaria del suo pensiero e soprattutto per il suo presunto antisemitismo.
Qui non possiamo passare sotto silenzio che a diffondere il pensiero del Padre Meinvielle in Italia fu il sacerdote e teologo cattolico Don Ennio Innocenti. E’ a questo sacerdote dalla forte tempra intellettuale e spirituale che si deve la pubblicazione dell’opera forse più importante del Padre Meinvielle: “Influsso dello gnosticismo ebraico in ambiente cristiano”(Ed. Sacra Fraternitas Aurigarum in Urbe, Roma 1988: uscito in lingua originale nel 1970 con il titolo “De la Cábala al progresismo”).
Nel presentare questo equilibrato intervento rievocativo di Buela, intendiamo interrompere l’ingiusto e immeritato silenzio calato su un pensatore “forte”, integralmente e poderosamente cattolico, che merita non solo di essere ricordato ma anche letto e studiato.

A.L.F.
  di Alberto Buela

In quest’anno 2005 in cui ci è dato vivere si celebrano numerosi centenari di pensatori e artisti, e leggendo chi li celebra comprendiamo chi sono e cosa pensano.
Così, nel nostro Paese (Argentina, ndt), il centenario di Raymond Aron (1905-1983) viene celebrato dal circolo liberal-conservatore del giornale “Nación” con Natalio Botana come scrivente. Su “Nuestra América” il liberale ad oltranza Vargas Llosa con la sua consueta prodigalità intellettuale commemora la nascita di Jean Paul Sartre (1905-1980). Dal canto suo, radio “FM Tango” festeggia i natali di Osvaldo Pugliese (1905-2000). Altri, i centenari dei pittori Berni e Soldi. In Spagna, quello di Luis Buñuel, e negli Stati Uniti -non poteva essere diversamente- quello dell’attore Henry Fonda, essendo il cinema la loro forma espressiva più completa.
Noi, per parte nostra, ci accingiamo a celebrare la nascita di Padre Julio Meinvielle (1905-1973) che sicuramente non sarà riportata da nessuno dei grandi mezzi di comunicazione.

La sinistra e la destra

La caratterizzazione che da sinistra ha effettuato il giornalista Horacio Verbitsky, attualmente ideologo organico del governo in carica, è la versione che i mass media offrono del Padre Meinvielle: “E’ il propagandista antidemocratico e antiebraico più furibondo della storia argentina”.[1]
Questa stessa versione si trova sulla pagina di internet quando si cerca “Julio Meinvielle”, raccolta a sua volta dal sito “filosofa en español”, e integrata da destra da nazionalisti paganeggianti come Disandro et alii, i quali qualificano Meinvielle di “nazionalista guelfo” in opposizione a se stessi autodefinitisi “ghibellini”. Questo ritorno a una polemica vecchia di otto secoli altro non fa se non evidenziare il grado di stoltizia e di sterilità intellettuale di questi sedicenti pensatori della destra argentina.
Di fatto, quindi, il Padre Meinvielle è criticato ancora nei nostri giorni, trentadue anni dopo la sua morte, sia dalla sinistra che dalla destra reazionaria esattamente come gli accadde in vita. Perché? Perché il pensiero cattolico autentico è e deve essere segno di contraddizione. E Meinvielle ha incarnato il pensiero cattolico nella sua essenza in maniera esemplare, ovvero, con l’esempio della sua vita.
Così, non solo è stato il primo di lingua spagnola a condannare Hitler e la sua follia non con frasi fatte, ma con l’opuscolo La Iglesia y el Reich del 1937, ovvero un anno prima che avesse luogo la famosa “notte dei cristalli”, la prima persecuzione degli ebrei, che fino a quel momento avevano collaborato attivamente con il regime tedesco; inoltre, è stato anche il critico più profondo e costante del marxismo e del comunismo sia nel nostro Paese che all’estero, come dimostrano le  conferenze da lui tenute a New York insieme a Lin Yu Than.
Noi, in questo omaggio, siccome non possiamo percorrere tutto l’ampio spettro delle meditazioni e delle denuncie di Meinvielle –la critica a Maritain, a Tailhard, a Rahner, al progressismo cristiano, allo gnosticismo; le sue meditazioni sulla concezione cattolica dell’economia, la politica, i popoli biblici, la Cristianità- ci limiteremo all’essenza, alla sostanza più genuina e originale del pensiero del nostro autore e alla sua proiezione socio politica.
In una parola, ne sonderemo l’opera per cercare, sommariamente e nell’ambito del tempo che questa conferenza condivisa ci consente, di esporre le due o tre idee-forza che come dice Bergson, ha l’autentico pensatore.  
    
Il fondamento onto-teologico-culturale

Tutto il pensiero del Padre Meinvielle è centrato, ovvero si fonda e si rivolge alla “regalità di Cristo nella storia”. A partire da qui egli ha  sempre esposto la sua proposta, il suo apotegma e la sua convinzione più profonda attraverso il consiglio evangelico: “Cercate dapprima il regno di Dio e la sua giustizia; e tutto il resto vi sarà dato in sovrappiù (Mt 6,33)”.
La centralità di Cristo percorre la sua opera dal primo all’ultimo dei suoi scritti e dalla prima all’ultima delle sue azioni sociali e politiche –dalla creazione degli Scouts in Argentina, agli atenei come quello di Versalles, alla fondazione di numerosi giornali.
Meinvielle, discepolo fedele di Aristotele e San Tommaso, sostiene che l’uomo è un conflitto di potenza e atto puro. E’ potenza pura perché l’intendimento umano ab initio è come una tabula rasa sulla quale non vi  è scritto nulla, ma vi è in potenza tutto l’intelligibile. Ed è atto puro perché grazie all’intendimento può attuare tutto l’intelligibile.
Questa potenzialità pura lo porta a definire la cultura nel modo più ampio: “l’uomo nella sua manifestazione”. E questa cultura sarà tanto più ricca quanto più ricche saranno le manifestazioni dell’uomo, il cui valore si dovrà ponderare d’accordo con il loro contenuto di realtà.
E qual è per il nostro autore la massima realtà? è Dio, in tanto che realtà sussistente. Egli è l’Ipsum esse subsistens. Dal ché si evince che una cultura sarà tanto più ricca quanto più vicina a Dio e quanto meglio lo esprima attraverso le proprie manifestazioni.
Quella centralità che teologicamente era posta in Cristo, Meinvielle la difende e la definisce filosoficamente in Dio come l’essere che sussiste in sé e per sé. Fondandosi sull’Essere per antonomasia, inferisce ogni altra cosa da Lui e la riporta a Lui. Stabilisce una gerarchia funzionale tra la natura dell’uomo e la sua proiezione socio-politica.
Il nostro autore pensa in consonanza con il più grande mitologo del XX Secolo, Georges Dumézil (1898-1986), il quale, nel 1938, scoprì che “le tre grandi funzioni delle culture primigenie indoeuropee –la prima: la sovranità, il sacro, l’intelligenza; la seconda: la forza guerriera e la terza: l’abbondanza, sia quella prodotta dal lavoro agricolo come quella rappresentata dalla comunità- corrispondevano alle tre categorie dei sacerdoti romani chiamati Flúmines, alcuni dei quali si dedicavano al culto di Jupiter, il più grande degli déi, altri a quello di Marte, il dio della guerra e i terzi a Quirino, protettore della comunità e della produzione agricola”.[2]
Questa visione organica e normativa della società fu in vigore durante tutto il Medioevo e fino a tutta la prima parte della modernità. I pensatori delle grandi Summae, -Duns Scoto, Alberto Magno, Tommaso d’Aquino, Alessandro di Halles- sostengono, ciascuno con la propria variante, questa visione gerarchica della società.
Julio Meinvielle raccoglie questa visione in ciò che noi consideriamo la sua elaborazione più propria e originale, che denomina “le quattro formalità dell’uomo”, teoria che espone in uno dei suoi primi scritti Concepción católica de la ecónomia (1936)  e riprende approfondendola trent’anni più tardi nel secondo capitolo del suo libro El comunismo en la revolución anticristiana (1964).

Le quattro formalità dell’uomo

Secondo il Parroco di Versalles, le formalità o dimensioni dell’uomo sono quattro. L’uomo in quanto ente è qualcosa: è, e non è non-è. L’uomo in quanto qualcosa, esiste, poiché il qualcosa come trascendentale aggiunge alla nozione di ente la relazione con l’esistenza, e specificamente per quanto riguarda l’ente uomo, con l’esistenza materialmente considerata. L’uomo come qualcosa che esiste. Così possiamo dire che in quanto ente uomo, sono questo qualcosa che sta qui.
La seconda dimensione dell’uomo ci si presenta quando lo consideriamo in quanto animale nel quale spicca la sensibilità. Quindi, l’uomo è considerato nel novero degli esseri sensibili che ha come finalità del suo operare il piacere e il godimento dei sensi.
Poi appare la dimensione umana dell’uomo, ovvero l’uomo in quanto uomo. E qui emerge la specificità di questo chi che tutti noi siamo: la razionalità. La ragione nel suo uso sano non persegue solo l’ottenimento del piacere dei sensi, ma il bene onesto.
Infine, l’uomo, partecipando nel suo essere all’essenza divina, possiede una dimensione soprannaturale. La finalità propria di questa quarta formalità dell’uomo è la comunione con Dio, che sulla terra si manifesta nella santità.
Così l’uomo è qualcosa perché sente come animale; sente come animale perché ragiona e intende come uomo; ragiona e intende come uomo perché ama Dio come dio”.[3]
In questa citazione di Meinvielle osserviamo come il rapporto tra le diverse formalità dell’uomo trovi il suo fondamento in quel pensiero del vecchio Aristotele quando parlando di come si rapportano tra loro le diverse facoltà dell’anima osserva: “sempre nel termine seguente della serie di facoltà si trova inclusa potenzialmente quella precedente. Così la facoltà vegetativa è inclusa in quella sensitiva.[4] La facoltà superiore sussume e dà senso a quella inferiore.
Queste dimensioni si trovano organizzate gerarchicamente nell’ordine naturale della vita in una gerarchia di servizi il cui livello più basso corrisponde all’uomo come qualcosa, poi come animale, poi come razionale, per culminare nella considerazione dell’uomo come soprannaturale o divino.
Spezzare il rapporto gerarchico che integra il molteplice nell’unità e che vincola queste quattro formalità, suppone spezzare il principio di unità, la reductio ad unum, caratteristica propria dell’esistenza completa. Quindi, la morte altro non è che la disgregazione dell’uno nel molteplice.
E cosa ha fatto Meinvielle con queste quattro formalità gerarchicamente organizzate, con questa teoria che, mutatis mutandis, arriva dalle profondità della storia?
Ha mostrato tutta la sua sostanza e capacità di comprensione e di penetrazione intellettuale conferendo loro funzionalità in tutte le manifestazioni dell’uomo. Tenuto conto che per il Parroco di Versailles cultura non è altro che l’uomo nella sua manifestazione.
E’ a questo punto, secondo il nostro parere, che un filosofo o un teologo manifesta le sue qualità intellettuali: quando può conferire funzionalità, in questo caso storico politica, a una teoria classica. Questo ha fatto Meinvielle, e di questo si accorse Octavio Derisi, che pur non spiccando per intelligenza era un grande studioso amante della verità, quando affermò del Padre Julio: “si distinse per la penetrazione e la lucidità della sua intelligenza… sapeva arrivare con rapidità e perspicacia al punto essenziale… la sua intelligenza era contemporaneamente chiara, brillante e di profonda penetrazione… noi che lo abbiamo frequentato intimamente, conoscevamo la limpidezza e la grandezza della sua anima”.[5]
Attraverso questa proiezione sociale, politica, economica, storica, filosofica e teologica, il nostro autore sviluppò, lungo tutta la sua vasta opera –più di venti volumi- una grandiosa analogia tra le quattro dimensioni dell’uomo e i diversi momenti storici dello sviluppo politico del mondo, le diverse dottrine economiche, filosofiche e teologiche. In una parola, abbracciò tutti i grandi ambiti nei quali l’uomo si manifesta: nella sua formalità soprannaturale come sacerdote; nella sua dimensione razionale, come aristocrate; nel suo aspetto sensitivo, come borghese; e in quanto realtà materiale, come operaio o proletario.
L’alterazione di quest’ordine produce tre rivoluzioni possibili: a) la ribellione del naturale contro il soprannaturale. L’aristocratico contro il sacerdotale, il politico contro il teologico. Questa cultura viene inaugurata dal Rinascimento; b) la ribellione dell’animale contro il naturale. La borghesia contro l’aristocrazia, l’economia contro la politica. Questa cultura viene inaugurata dalla Rivoluzione Francese; c) la ribellione de il qualcosa contro l’animale. Il proletariato contro la borghesia, la pianificazione totalitaria contro l’economia. Questa cultura viene inaugurata dalla Rivoluzione Comunista.
Tutto questo ampio processo è denominato dal nostro Autore il movimento della Rivoluzione Mondiale[6]  costituito dalle grandi rivoluzioni prodotte dalla modernità: Rinascimento, Rivoluzione Francese e Rivoluzione Bolscevica, e tutte le implicazioni culturali che comportano: umanesimo, razionalismo, naturalismo e assolutismo, per la prima; economicismo, capitalismo, positivismo, democrazia e liberalismo per la seconda; e comunismo, materialismo dialettico, lotta di classe, per la terza.
Così, il razionalismo termina nell’irrazionalismo di un Nietzsche; l’assolutismo con Luigi XVI, nel patibolo; il naturalismo nel materialismo del socialismo reale; il positivismo nell’evoluzionismo di Darwin; la democrazia in una mera formalità procedurale, e la morte di Dio nella morte dell’uomo: cosa possiamo fare?, cosa ci è consentito sperare?
La risposta del Padre Meinvielle è inequivocabile e perentoria: instaurare omnia in Christo. O meglio ancora, re-instaurare tutto in Cristo. Ricreare la Città Cattolica. Recuperare l’idea della Cristianità come organizzazione della società al modo cristiano.
In poche parole, che i popoli informati dalla Chiesa, ovvero quelli ai quali la Chiesa ha dato forma e fede si manifestino in tutti gli ordini al modo cattolico.
Si potrà affermare che date le attuali condizioni storiche e socio politiche, sia piuttosto inverosimile, non viabile o, quanto meno, difficilissimo da realizzare. “Può darsi, risponde Meinvielle, ma una cosa è l’opinione del mondo e un’altra quella di Dio”.[7]  

(Traduzione dallo spagnolo di Aldo La Fata)



[1] Diario, p. 12, Buenos Aires, 29 agosto 1999.
[2] Dumézil, Georges: Idées Romaines, París, Gallimard, 1986, p.178.
[3] Meinville, Julio: El comunismo en la revolución anticristiana, Bs.As., Theoria, 1964, p.47. L’ultimo termine della citazione, dio, è scritto con la minuscola perché il nostro autore ha voluto sottolineare che l’uomo non è Dio bensì un dio minore, un microtheos, per ciò che ha di divino secondo quanto dice Aristotele facendo riferimento al νους.
[4] Aristotele: De anima, 414b 28-30.
[5] Derisi, Octavio: sulla rivista Universitas, Bs.As., N° 30, luglio-settembre 1973, pp. 79-80.
[6] E’ interessante annotare che Meinvielle elabora l’idea di Rivoluzione Mondiale già nel suo primo studio Concepción católica de la política, del 1932. Il più significativo storiografo cattolico inglese del XX Secolo, Christopher Dawson (1889-1970), pubblicherà solo nel 1959 uno dei suoi lavori più importanti con il titolo The movement of world devolution.
[7] La letteratura su Meinvielle si divide chiaramente tra apologisti e detrattori, gli studi seri e meditati sono quasi inesistenti. Uno dei pochi che troviamo è quello di Juan Fernando Segovia: La legitimidad entre la teología y la política en Meinvielle y Castellani, Madrid, rivista Anales, Anno X/2004, pp. 83 a 117.


6 commenti:

  1. Non conosco bene questo autore ma non posso non ravvisare fortissime analogie con Plinio Correa de Oliveira, autore del classico Rivoluzione e Contro-rivoluzione.La filosofia della storia è la medesima e giova qui forse ricordare che il "segno" della Contro Rivoluzione per Plinio, quel segno capace di vincere persino la viscida serpe infernale, sia Maria. Lei è il vero vessillo del puro cavaliere senza macchia, Lei è il segno della vittoria.

    Renè

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  2. Certo, e qui si potrebbe anche fare il nome di Francisco Elìas Tejada. Sono gli autori e i maestri riconosciuti della scuola cattolica contro-rivoluzionaria di lingua spagnola. Noi di Metapolitica non apparteniamo a questa corrente, ma ne consideriamo valide e interessanti alcune idee e proposte culturali.

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  3. Silvano Panunzio ha espresso un giudizio molto severo sul pensiero controrivoluzionario. Forse la sua intransigenza è stata dettata dall’intento di definire in maniera chiara e senza possibilità di equivoci le differenze fra l’arte regale e profetica della Metapolitica e la prassi controrivoluzionaria. Mi chiedo e chiedo: sono davvero radicalmente incompatibili Metapolitica e Controrivoluzione? Invero lo sguardo d’aquila della Metapolitica è ben più alto e sintetico, vede operare, contrapporsi e scontarsi nella storia e nel cosmo la mano destra e la mano sinistra, le forze dell’ordine e della conservazione da un lato e quelle della trasformazione e della dissoluzione dall’altro e tende a ricondurle all’unità dello spirito, riconoscendo la funzione che le une e le altre assumono – nonostante le interferenze della malizia umana e dell’astuzia diabolica - nel disegno provvidenziale. L’impegno di coloro che operano nella sfera della Metapolitica è di carattere prevalentemente, anche se non esclusivamente, intellettuale e spirituale. La controrivoluzione si colloca, mi sembra, sul piano della politica, rappresentata simbolicamente dal leone. La sua visione della storia è dualistica: di qui la luce, l’ordine della natura e i suoi difensori, di là le tenebre, le spinte dissolutive e i loro agenti. D’altra parte quando si combatte è necessario che...........vi sia un nemico! Lo stesso Panunzio ha osservato che, se non ci fosse un bersaglio da colpire, la lancia scagliata si perderebbe nel vuoto. Sul piano teorico e speculativo penso che l’analisi di Silvano Panunzio sia ineccepibile. Ma aveva davanti agli occhi gli eccessi di un certo spirito reazionario d’oltre oceano. A me sembra che i controrivoluzionari italiani di oggi siano assai più equilibrati ed ortodossi, più intelligenti ed aperti dei loro stessi maestri. E che, mantenendo ben distinti gli ambiti differenti, sarebbe possibile un dialogo fecondo. Giuseppe Maddalena

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  4. Puntuale e centrata la tua analisi, caro Giuseppe. La Metapolitica, come ci ha insegnato Panunzio, si erge ben al di sopra tanto della "sovversione" quanto della "reazione", due facce della stessa medaglia. Ma il pensiero contro-rivoluzionario, come filosofia e teologia della storia ed esempio vivo di accesa e combattiva fede cattolica,potrà sempre fornire spunti di riflessione e buone idee utili anche alla nostra svettante Metapolitica.

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  5. Cari amici,
    un classico contro- rivoluzionario , Rivoluzione e Contro rivoluzione di Plinio, è ben più che politico... è una filosofia della storia fondata su basi spirituali, addirittura ascetiche, se si legge bene. I due fondamenti contro rivoluzionari infatti sono massime virtù cristiane: l'umiltà e la purezza che sconfiggono rispettivamente l'orgoglio e l'impurità (intesa nel senso più ampio). Il vero stendardo del contro rivoluzoniario è Maria.
    Un caro saluto

    Renè

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  6. Sono d'accordo anch'io con quanto dice Giuseppe ma credo sarebbe auspicabile una sintesi - e non solo a livello simbolico, fra i controrivoluzionari, che però io trovo dotati di pelo sfoltito e unghie ben tagliate, e le aquile metapolitiche.
    A guardare l'arena politica, italiana e no, mi sembra infatti che le forze della dissoluzione e del disordine stiano cercando da un pò di tempo un nemico contro cui scagliare le proprie frecce.

    saluti
    Paolo

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