26/10/12

Sull’origine dell’uomo, alcune domande

Sull’Agorà di domenica 23 settembre (inserto del quotidiano l’Avvenire) è apparso un lungo articolo del professore Mons. Fiorenzo Facchini, già ordinario di antropologia all’Università di Bologna e riferimento costante dell’Osservatore Romano per quanto riguarda il tema dell’Evoluzione.
L’articolo ripropone alcuni passi significativi del suo ultimo libro: “Evoluzione: cinque questioni” (Jaka Book, 2012), sotto il titolo: “Dio non è contro Darwin”. Vorrei qui esporre due osservazioni a proposito di questo autorevole testo. La prima è di carattere paleoantropologico e la seconda, invece, di ordine epistemologico.
Fiorenzo Facchini scrive che “una parentela diretta, per discendenza, con le scimmie antropomorfe, non viene sostenuta da nessuno. Viene ammesso un ceppo comune per le antropomorfe e gli ominidi, tra i quali si svilupperà la linea umana.” E’ chiaro che questa rassicurazione da una parte conforta, perché conferma il salto evidente che c’è tra noi e le scimmie, ma dall’altra rilancia la ricerca verso un mondo sconosciuto qual è quello di un “ceppo comune” che oggi non esiste e di cui non si hanno tracce. Se il confronto tra il genere Homo e la Scimmia risulta oggi possibile e ci vede totalmente diversi (per la postura eretta, per la capacità cranica, per il linguaggio simbolico, per il senso religioso, ecc…), il confronto tra il genere Homo ed un “antenato comune” risulta impossibile dal punto di vista empirico (non c’è e come si potrà riconoscerlo?).
Proseguo con i miei pensieri. Proprio comprendendo tutte le difficoltà che si incontrano nel tentativo di attribuire un reperto fossile ad un gruppo piuttosto che ad un altro, soprattutto nel caso in cui si tratti di specie estinte, mi chiedo se non sia possibile includere i pochissimi frammenti attribuiti a Homo habilis (3-4) nella variabilità intraspecifica delle australopitecine o comunque delle scimmie in generale. La capacità cranica del cosiddetto Homo habilis (600) mi pare che possa confortare una simile inclusione. Dall’altra parte il cosiddetto Homo erectus è a tutti gli effetti Homo (così è stato chiamato), cioè uomo, e perché non potrebbe essere considerato all’interno dell’amplissima variabilità antropometrica dell’Homo sapiens? Se queste due operazioni fossero possibili, non avremmo certamente risolto il problema dell’origine dell’uomo, però avremmo fatto un po’ di ordine, molto importante nella nostra indagine sull’origine.
La seconda osservazione. Mons. Facchini sostiene l’intervento diretto di Dio nella creazione dell’Uomo difendendo la sua tesi con queste parole: “l’intervento di Dio nella comparsa dell’uomo non è per supplire a deficienze di causalità di ordine naturale, ma perché la struttura fisica del vivente non è adeguata a produrre da sola un essere arricchito dello spirito. Quando e come ciò sia avvenuto è impossibile dirlo o immaginarlo.” Ora io concordo certamente con l’Autore sul fatto che la materia non possa produrre lo spirito, ma mi interesserebbe anche conoscere il suo pensiero su come la materia abbia potuto produrre l’informazione necessaria per farle assumere l’aspetto delle forme viventi che tutti conosciamo.
In altre parole, vorrei proporre di applicare l’argomentazione che ha invocato per spiegare la comparsa dell’Uomo anche alla morfogenesi degli esseri viventi, dal batterio all’uomo, proprio perché questa costituisce una complessità di informazioni strutturate tale da non essere predicibile a partire dalle proprietà dei suoi costituenti fisici. Insomma, se l’identità dell’uomo non è riconducibile alla sua struttura fisica, non possiamo dire lo stesso dell’identità della vita in quanto tale? E se nel primo caso è lecito parlare di Dio, non è possibile farlo anche nel secondo caso senza tema di essere radiati dal consesso degli uomini che usano il cervello?
Umberto Fasol
http://www.uccronline.it/2012/10/06/sullorigine-delluomo-alcune-domande/


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