15/07/13

PRIMO SIENA IN VISITA A VERONA

Ieri a Verona si è presentata una occasione di quelle che capitano raramente, di quelle che, per chi ha a cuore la concezione esistenziale e tradizionale di Destra, il suo significato metafisico e metapolitico (quel ‘essere di destra’ che proprio Siena, sulla scorta degli insegnamenti di Guido Manacorda, ha fieramente e coerentemente rivendicato davanti all’uditorio), non certo quella della destra politica figlia delle categorie rappresentative illuministe, non si possono lasciar sfuggire: la visita a Verona di Primo Siena.
L’occasione ci è stata offerta da “Verona Sociale”, sigla a noi sconosciuta, che ha organizzato l’incontro con Primo Siena per la presentazione delle sue due recenti fatiche editoriali: “La perestroika dell’ultimo Mussolini” e “ Incontri nella terra di mezzo”, entrambe uscite per i tipi della Solfanelli (i 2 titoli sono disponibili presso
Ad introdurre ieri, in Sala Lucchi, la figura di Siena hanno provveduto la figlia Silvia e il Consigliere comunale della Lista Tosi, Vittorio Di Dio, mentre l’editore ed intellettuale veronese Giovanni Perez ha ‘interrogato’ Primo Siena circa il significato dei suoi due ultimi libri.
L’eloquenza e la vivacità oratoria dell’ottantaseienne Primo non si sono fatte pregare…confermando il solare portato umano, culturale e politico d’un uomo d’altri tempi, un pedagogo, un autentico educatore, un esempio luminoso che certa destra, soccombente ai segni dei tempi, non riesce purtroppo più ad offrire se non in rarissime eccezioni.
Non ci dilunghiamo a tratteggiare il profilo di primo Siena, il cui spessore è stato già illustrato in passato ai nostri associati attraverso un apposito numero del nostro periodico telematico Orientamenti, in occasione d’una sua precedente visita in terra scaligera.
In relazione invece ai volumi presentati, ci limitiamo sinteticamente ad accennare che il primo (“La perestroika dell’ultimo Mussolini”) dimostra, secondo la lettura che ne da Siena, l’anelito di libertà, la vivacità e l’anticonformismo del dibattito politico e culturale (in piena ‘guerra civile’!), e la transizione verso una democrazia organica, pluralista e rappresentativa della RSI, così come configurata dal politico ed accademico fascista Carlo Alberto Biggini (Ministro dell’Educazione Nazionale durante la Repubblica di Salò); il secondo invece (“Incontri nella terra di mezzo”), è una sorta di autobiografia intellettuale, un viaggio nel luogo simbolico (la tolkeniana ‘Terra di Mezzo’) del ‘pensiero differente’ (quello ‘politicamente scorretto’) che ha formato intellettualmente e spiritualmente Primo Siena, attraverso l’incontro con una quindicina di pensatori, italiani e stranieri, che hanno fortemente contribuito, sia attraverso la conoscenza personale sia attraverso le loro opere, alla formazione della personalità dello scrittore, cattolico ghibellino, fascista d’antica data per storia famigliare, soldato volontario e combattente in guerra, missino della prima ora, consigliere comunale, dirigente politico di valore, solo per rimanere nel campo dell’impegno ideale!
L’iniziativa di ieri, indubbiamente meritoria, avrebbe probabilmente dovuto beneficiare di altra cornice e maggiore pubblicità, ma anche questi sono segni dei tempi.
Primo Siena, fidelis fidei!
Baltikum

«Ecco – pensai – l’unico modo di essere rivoluzionari sul serio è questo: l’unico anticonformismo verace essendo quello di chi procede sia in cultura che in politica controcorrente, avversando la pigrizia mentale dei luoghi comuni». (PRIMO SIENA, “incontri nella terra di mezzo. Profili del pensiero differente”, pag.69)

Fonte: http://www.progettonazionaleverona.it/primo-siena-in-visita-a-verona/
 

03/07/13

Un nuovo provocatorio libro di Pier Francesco Zarcone: Il Messia armato: Yešū’ Bar Yōseph



Prefazione scritta da don Ferdinando Sudati 

L'Autore di questo saggio, Pier Francesco Zarcone, è un credente, meglio, un cristiano appartenente all'ortodossia, fornito di una laurea in diritto canonico e autore di un precedente libro su Gesù*. Ma è anche uno storico del movimento operaio di provenienza anarchica e da alcuni anni esponente di un’associazione politica internazionale che si autodefinisce in termini di «utopismo rosso». È anche un valente islamologo e altre cose ancora. Questo sia detto per meglio inquadrare la genesi intellettuale del libro, qualche sottolineatura che egli fa nel testo e per apprezzare l'onestà con cui conduce la sua ricerca.
È raro trovare un laico, e non teologo di professione, che abbia la competenza in materia religiosa e la capacità di comunicare il suo sapere, attraverso la scrittura, quali ha l'Autore. Il lettore si troverà di fronte a un'opera impegnativa, ma assolutamente non oscura o complicata, a motivo della limpidità dello stile. Che è già un grosso merito.
Il messia armato tocca un tema abbastanza discusso a metà del secolo scorso. Sebbene abbia avuto un interesse piuttosto di nicchia, non ha perso di attualità neanche all'inizio del XXI secolo, allorché nuovi approfondimenti storici e biblici, e una maggiore indipendenza da  schemi ideologici correnti, permettono di vedere con più equilibrio la figura e la vicenda di Gesù. Tra il fare di lui un (aspirante) messia che opta per la via militare e politica allo scopo di rovesciare il potere di Roma, oppure un pacifista non violento che aborre anche solo l'idea di usare mezzi energici per cambiare la società oppressiva del tempo e instaurare il «regno di Dio» in terra d'Israele, forse c'è uno spazio intermedio che potrebbe essere quello realmente occupato da Gesù. O in cui potrebbe essersi collocato in alcuni momenti della sua vita.
L'Autore di queste pagine privilegia indubbiamente la storia, senza però trascurare la dimensione teologica, perché quando si tratta di Gesù è quasi impossibile separare nettamente i due ambiti (cfr. il capitolo «La divinizzazione del messia Gesù»). Intanto, la presente ricerca mette a disposizione del lettore una mole di nozioni generali attorno all'epoca e alla persona di Gesù, ma che riguardano anche gli sviluppi successivi, e perfino attuali, che richiederebbe altrimenti la consultazione di decine di libri. Dunque, una miniera d'informazioni e di aggiornamenti su Gesù e il cristianesimo. Prezioso anche il capitolo d'appendice, una carrellata storica sui movimenti ereticali e le dissidenze religiose nel cristianesimo che arriva sino all'oggi.
L'aspetto però decisamente insolito, per noi che non siamo specialisti in materia, è proprio ciò che costituisce l'asse portante della ricerca, vale a dire l'ipotesi – chiamiamola ora così – di un Gesù che aveva qualcosa a che fare con le armi o, perlomeno, che non fosse del tutto estraneo a esse.
Dico subito: non nel senso del Gesù che compare in copertina, che pure è un'immagine pittorica tutt'altro che banale e, anzi, pregevole. La copertina di un libro deve attrarre, provocare qualche reazione, perché questo è il suo scopo, e possibilmente condensare il tema del libro. Ma si dà per scontato che possa andare un po' per suo conto rispetto al libro e quindi a essa non bisogna chiedere troppo.
Il Cristo guerrigliero di Alfredo Rostgaard è una creazione di fantasia – il fucile nemmeno esisteva a quell'epoca -, eppure interpreta un aspetto di Gesù meno peregrino di quanto saremmo disposti ad ammettere. In questa immagine molti uomini del nostro tempo potrebbero riconoscere Gesù e insieme riconoscersi in lui. Di fatto, a latitudini diverse dalla nostra, così è stato (si veda, in Appendice, «La teologia della liberazione» e «La croce e il mitra») perché anche questo Gesù è in qualche modo presente nei vangeli. Magari, non proprio con le armi in pugno – di questo non c'è testimonianza – ma quantomeno nel senso che non ha obbligato qualcuno dei suoi seguaci, che le portava alla cintola o sotto il mantello, a disfarsene. 
Un grande esperto del giudaismo e del cristianesimo primitivo ritiene che Gesù non progettasse alcuna campagna messianica politico-militare, sebbene il suo messaggio avesse implicazioni politiche molto forti perché mirava a cambiare l'assetto della società (1).  Lo stesso autore fa notare come il gruppo di Gesù non fosse del tutto pacifista, se era attrezzato quantomeno a difendersi, come si legge in Mt 26,51: «Ed ecco, uno di quelli che erano con Gesù impugnò la spada, la estrasse e colpì il servo del sommo sacerdote, staccandogli un orecchio». In Luca sembrano più di uno quelli in grado di colpire con la spada: «Allora quelli che erano con lui, vedendo ciò che stava per accadere, dissero: «Signore, dobbiamo colpire con la spada?». E in Giovanni, chi brandisce la spada ha un nome preciso, che non ci saremmo aspettato: Simon Pietro, sebbene Gesù gli intimi di rimettere la spada nel fodero (cfr. Gv 18,10-11). Una volta si dice espressamente che Gesù abbia rivolto questo invito ai suoi seguaci: «Ma ora [...] chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una» (Lc 22,36). 
Sono parole da prendere realisticamente o solo metaforicamente? Non c'è dubbio che abbiano senso metaforico le sue parole: «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; sono venuto a portare non pace, ma spada», ma non siamo sicuri che sia così anche per le altre. Ammesso che le parole siano sue, perché anche qui si affaccia la questione degli ipsissima verba Iesu, cioè del tentativo, per quanto arduo, di discernere quanto è attribuibile al Gesù prepasquale piuttosto che alla libera interpretazione degli evangelisti e delle comunità sorte dalla pasqua. In ogni caso, prima di rispondere sensatamente all'interrogativo, leggiamo questo libro, che ha precisamente lo scopo di riportare in luce un aspetto su cui la tradizione già dall'inizio e per suoi motivi è stata incline a sorvolare e addirittura a occultare. Non del tutto, però. L'operazione, infatti, non è riuscita alla perfezione, perché ha lasciato marcatori, cioè tracce e indizi su cui gli studiosi di oggi, con gli strumenti a loro disposizione, possono ancora lavorare per ricostruire qualcosa della personalità di Gesù che sembrava impensabile anche solo pochi anni fa.
Il messia armato non ha scopi sensazionalistici e non intende sostituire il Gesù che ci hanno consegnato i vangeli con un Gesù sbilanciato a tutti i costi sul versante politico, militare e violento, ma farci capire meglio certi suoi discorsi e cosa può aver determinato, a torto o a ragione, la sua condanna capitale. Come interpretare, ad esempio, il versetto in cui Giovanni mette sulla bocca di Gesù le parole: «Se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei» (Gv 18,36)? Cosa c'è dietro queste parole? Non si avverte in esse un retroterra piuttosto concreto nonostante il tentativo di epurarle? Hanno per caso subito un lavaggio semantico? Dopo aver letto questo libro esse hanno acquistato per me un suono diverso, sebbene non voglia trarne conclusioni affrettate. Per associazione mentale ho pensato a un versetto simile: «O credi che io non possa pregare il Padre mio, che metterebbe subito a mia disposizione più di dodici legioni di angeli?» (Mt 26,53). Con la differenza che mentre questo detto di Matteo appare chiaramente iperbolico, quello di Giovanni conserva sfumature che potrebbe benissimo avere fondamento nella realtà storica, e adombrare qualche progetto o tentativo d'insurrezione, poi abbandonato perché considerato senza possibilità di successo o non rispondente all'ideale di Gesù.
Un altro eminente studioso del Gesù storico non ha dubbi sul fatto che egli abbia proclamato la resistenza non violenta contro l'ingiustizia dell'imperialismo romano, per quanto non ne sia stato lui l'inventore poiché ci sono state esperienze ebraiche di resistenza a Roma sia violente sia non violente «prima, durante, e dopo il tempo di Gesù e [...] il programma di Gesù per il Regno di Dio s'inserisce all'interno di tali opzioni contemporanee» (2). Ma anche i ribelli non violenti erano giustiziati, sebbene in tal caso venissero risparmiati i loro seguaci. La decisione di Pilato attesta quindi l'aspetto rivoluzionario dell'azione di Gesù (3).
Sono suggestioni che aggiungono forse qualche sfumatura alle cose ben fondate presenti nel nostro libro, i cui risultati non voglio anticipare perché li deve scoprire il lettore accettando la fatica e il piacere di scorrere queste pagine.
Voglio però proporre un piccolo esperimento, che mi è suggerito proprio dall'affermazione dell'Autore che «l'icona più adeguata [di Gesù] non è stata ancora dipinta», e a un suo fugace cenno al Gesù dell'iconografia cattolica che mostra il suo «sacro cuore». Ammettiamo allora che a un cristiano cattolico sia dato di scegliere unicamente fra due icone di Gesù, quella del guerrigliero di Rostgaard e quella del sacro cuore, la cui devozione e immagine si deve a santa Margherita M. Alacoque († 1690) e, nella versione più recente, a santa Faustina Kowalska († 1938). Dove cadrà la sua scelta? Sicuramente su quella del Gesù sacro cuore. Il nostro cattolico potrebbe addirittura sentire ripugnanza per l'altra. Eppure, l'immagine di Gesù sacro cuore, per quanto a noi più familiare e carica di buoni sentimenti, forse non è meno fuorviante di quella del Gesù con moschetto ad armacollo. Prese in se stesse sono entrambe false o, se vogliamo, tutte e due vere a patto che si integrino. Gesù non è quel buonista, per non dire quel pacioso e melenso, qual è stato fatto passare da certa agiografia. Se ha detto - o gli è stato attribuito il detto, non importa ora - «imparate da me, che sono mite e umile di cuore» (Mt 11,29), ha pure dichiarato, sia pure in un contesto di parabola, «via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli» (Mt 25,41). E delle Scritture cristiane, più note come Nuovo Testamento, fa parte anche un libro chiamato Apocalisse, zeppo d'immagini forti, violente e perfino truculente, che hanno per protagonista sia Dio sia il «Figlio d'uomo». Siamo per l'appunto nel genere apocalittico ed escatologico, ma ciò non toglie che in quelle pagine si descriva, ad esempio, un Figlio d'uomo con «in mano una falce affilata» che non serve precisamente per mietere il grano ma per vendemmiare sulla terra un'uva da gettare «nel grande tino dell'ira di Dio», la cui pigiatura darà una quantità industriale di sangue (cfr. Ap 14,14-20).
Non è mia intenzione trarre conclusioni al posto del lettore. In certo senso non lo fa nemmeno l'Autore, che con perizia e grande onestà accompagna il lettore lungo la ricerca da lui compiuta, lasciandogli il privilegio e l'onere di decidere se essere convinto o meno dalle argomentazioni che egli porta. Non voglio però terminare questo invito a inoltrarsi nel viaggio affascinante proposto dal libro di Zarcone senza desiderare per i lettori la mia stessa esperienza, quella cioè di chi inizia un libro con una buona dose di sospetto – per non dire di diffidenza -  nei confronti del titolo e del tema, prosegue in esso sentendo accrescere l'interesse, e termina con la convinzione di avere scoperto una sfaccettatura nuova della figura di Gesù e del suo ambiente storico. Forse il Gesù di «dopo» non coinciderà esattamente con quello di «prima», ma ci sembrerà di conoscerlo e capirlo meglio, e di essere più attrezzati per una lettura meno ingenua dei vangeli, ma più aderente alla storia e alla fine più proficua, senza che nulla debba andare perduto della ricchezza che essi rappresentano per la nostra vita.

don Ferdinando Sudati

Note
*    Gesù. Profeta rivoluzionario, Macroedizioni, Diegaro di Cesena 2007.
(1) Antonio Piñero, Ciudadano Jesús. Respuesta a todas las preguntas, Atanor, Madrid 2012, p. 137-138.
(2) John Dominic Crossan, The power of parable. How fiction by Jesus became fiction about Jesus, HarperOne, New York 2012, p. 128.
(3) Ibidem, p. 131.