29/02/16

Iniziative dal mondo: un manifesto per un mondo multipolare e contro la guerra



Chiamata urgente per una coalizione multipolare per la Pace

Il nostro mondo si trova ad un punto critico e pericoloso. La politica distruttiva degli interventi militari unilaterali e i cambiamento di regime illegali promossi e praticati dagli Stati Uniti d’America e dai suoi alleati nonché dai media che li sostengono ha portato alla possibilità di un confronto militare tra le maggiori potenze mondiali e delle nazioni nucleari armate che potrebbero scatenare una nuova guerra mondiale.
È giunto il momento di contrastare questa grave minaccia per l’umanità. Il rispetto deve essere ripristinato e rispettati i principi di sovranità, autodeterminazione e non interventismo, nonché il diritto internazionale.
Questo è un appello urgente a tutte le nazioni, le organizzazioni, i movimenti e gli individui di tutto il mondo, di unirsi a formare una coalizione globale che cerchi di evitare il disastro rafforzando la cooperazione multipolare, la diplomazia di pace e il rispetto del diritto internazionale, mentre si rifiuta categoricamente l’interventismo e l’aggressione unilaterale.

Vogliamo un mondo unipolare in cui le guerre occidentali dettano il destino del mondo, o un mondo multipolare in cui i paesi sovrani si adoperano in un ambiente di pace, nella cooperazione e nel rispetto reciproco?
E’ chiaro che noi, la maggioranza globale, scegliamo la seconda via.
Unisciti a noi in occasione della firma, sponsorizzando e / o diffondendo ampiamente questa dichiarazione.

No alla guerra!
Si a un mondo multipolare!

Fonte (sul sito si può leggere la versione integrale del manifesto in quasi tutte le lingue del mondo, anche in italiano): http://multipolare-welt-gegen-krieg.org/

25/02/16

L' affascinante ipotesi di Henri Tisot sul “titulus crucis”


In Esodo 20,2 Dio rivela il suo nome a Mosè:
“Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto”
La parola tradotta con “il Signore” è il famoso Tetragramma che gli ebrei non possono neanche pronunciare:
“YHWH“, vocalizzato in diversi modi tra i quali “Yahweh“. Le quattro lettere ebraiche che lo compongono sono queste: “יהוה“, yod-he-waw-he. Ricordiamo che l’ebraico si legge da destra verso sinistra.

Nel Vangelo di Giovanni, capitolo 19 versetti 16-22, leggiamo:
“Essi presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Gòlgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù in mezzo. Pilato compose anche l’iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei». Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. I capi dei sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: «Non scrivere: «Il re dei Giudei», ma: «Costui ha detto: Io sono il re dei Giudei»». Rispose Pilato: «Quel che ho scritto, ho scritto».”
Nonostante il brano in questione sia famosissimo, la scena che si è svolta davanti a Gesù crocifisso dev’essere stata un po’ diversa da come ce la siamo sempre immaginata. Giovanni, forse, ha provato a sottolinearlo ma il lettore, non conoscendo la lingua ebraica, è impossibilitato a comprendere.

L’iscrizione di cui parla Giovanni è la famosa sigla “INRI“, raffigurata ancora oggi sopra Gesù crocifisso. L’acronimo, che sta per il latino “Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum“, significa appunto “Gesù il Nazareno, il re dei Giudei“.

Ma Giovanni specifica che l’iscrizione era anche in ebraico. Non solo: in un momento così importante l’evangelista sembra soffermarsi su dei particolari apparentemente di poco conto:
- il fatto che molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città
- i capi dei sacerdoti che si rivolgono a Pilato per far modificare l’iscrizione
- Pilato che si rifiuta di cambiarla.
Ponzio Pilato, che era romano, probabilmente non capiva che, senza volerlo, aveva creato un po’ d’imbarazzo – se vogliamo definirlo così – agli ebrei che osservavano Gesù crocifisso con quell’iscrizione sopra la testa.

Henri Tisot, esperto di ebraico, si è rivolto a diversi rabbini per chiedere quale fosse l’esatta traduzione ebraica dell’iscrizione fatta compilare da Pilato. Ne parla nel suo libro “Eva, la donna” nelle pagine da 216 a 220.

Ha scoperto che è grammaticalmente obbligatorio, in ebraico, scrivere “Gesù il Nazareno e re dei Giudei“. Con le lettere ebraiche otteniamo “ישוע הנוצרי ומלך היהודים“. Ricordiamo la lettura da destra verso sinistra.

Queste lettere equivalgono alle nostre “Yshu Hnotsri Wmlk Hyhudim” vocalizzate “Yeshua Hanotsri Wemelek Hayehudim“.

Quindi, come per il latino si ottiene l’acronimo “INRI“, per l’ebraico si ottiene “יהוה“, “YHWH“.

Ecco spiegata l’attenzione che Giovanni riserva per la situazione che si svolge sotto Gesù crocifisso. In quel momento gli ebrei vedevano l’uomo che avevano messo a morte, che aveva affermato di essere il Figlio di Dio, con il nome di Dio, il Tetragramma impronunciabile, inciso sopra la testa.

Non poteva andar bene che YHWH fosse scritto lì, visibile a tutti, e provarono a convincere Pilato a cambiare l’incisione. Ecco che la frase del procuratore romano “Quel che ho scritto, ho scritto” acquista un senso molto più profondo.

Sembra incredibile? Pensate che Gesù aveva profetizzato esattamente questo momento. In Giovanni 8,28 troviamo scritto:
“Disse allora Gesù: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono
Per “innalzare” Gesù intende la crocifissione. “Io Sono” allude proprio al nome che Dio ha rivelato a Mosè in Esodo 3,14:
“Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». E aggiunse: «Così dirai agli Israeliti: «Io-Sono mi ha mandato a voi»”.

Autore: Daniele Di Luciano

23/02/16

Il pensiero e l’opera di Silvano Panunzio in tre punti

Alcuni amici ci hanno chiesto di provare a sintetizzare in poche battute i caratteri principali dell’opera di Silvano Panunzio. Per accontentarli abbiamo riesumato un articolo a lui dedicato di Sergio Sotgiu e apparso su “Il Giornale” del 21 maggio 1998 con il titolo “Una vita contro il cattocomunismo” che ne celebrava l’ottantesimo compleanno. Qui di seguito uno stralcio del testo che ne riassume il pensiero e l’opera in tre punti.

1.     La metapolitica. Come altri studiosi Panunzio concepisce la modernità come decadenza, la quale comporta lo scompaginamento di categorie politiche come destra/sinistra, conservazione/rivoluzione ecc., alle quali non è più possibile rifarsi. Da qui la ripresa della Metapolitica, intesa come la metafisica della politica, vale a dire quel livello in cui metafisica e cosmologia si incontrano per nutrire e sostanziare la dimensione della politica. E’ qui implicita una lezione di Platone: il modo migliore per capire le cose è ricondurle alla loro forma ideale.
2.     La tradizione. Di fronte a chi, pur con stile suggestivo, propone (e irretisce) con un’idea astratta e in definitiva meramente intellettualistica della tradizione. Panunzio ricorda che essa è un patrimonio vivente, che non può essere confusa con la cristallizzazione in una sua forma storicamente prodotta, che il patrimonio universale che essa custodisce può essere colto solo da chi sappia viverne una sua manifestazione.
3.     Il cristianesimo. Non è solo una religione storica particolare, nata e divulgata in precise condizioni storiche: esso è una religione paradigmatica, l’inverarsi nella forma più compiuta di quei segmenti di verità già presenti nelle altre dottrine religiose. Ciò porta Panunzio a riconoscere il valore delle altre tradizioni e a coglierne il riflesso nel cristianesimo. Dello stesso cristianesimo Panunzio valorizza l’impronta escatologica e spirituale, e ne denuncia il drammatico travisamento qualora lo si intenda come banale strumento di “promozione umana” (non si parli di promozione dei concerti rock…).
Insomma, se Heidegger constatava che l’uomo non poteva raggiungere da solo la salvezza e dichiarava che “ormai solo un dio ci può salvare”, Panunzio ricapitola e precisa meglio: solo Cristo ci può salvare.

21/02/16

Senza più barba con Ockham contro Tommaso

“Umberto Eco è rimasto, in fondo, un tomista”, disse una volta Gianni Vattimo a proposito dell’antico compagno di studi all’Università di Torino, e in questo “ritratto di un tomista da giovane” si riferiva alla sua tesi di laurea sul problema del “bello” in Tommaso d’Aquino con Luigi Pareyson nel 1956, in seguito ampliata e pubblicata in una monografia su arte e bellezza nel pensiero medievale. Del resto, lo studio dell’estetica scolastica è rimasto costante anche nell’approccio di Eco alla semiotica contemporanea; solo qualche anno fa, nel 2010, aveva persino pubblicato un’intervista immaginaria a Tommaso d’Aquino e, nel 2012, una poderosa raccolta di Scritti sul pensiero medievale nella collana “Il Pensiero Occidentale” della Bompiani.
Tuttavia, a mio avviso, la sua vera indole filosofica non era quella del “domenicano”, bensì quella del “francescano” Guglielmo da Ockham e del suo “nominalismo” antimetafisico; di questo vi sono numerosi indizi sia letterari che saggistici. Già nel Nome della rosa e nel distico che ha ispirato il titolo (stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus) è evidente la frattura tra i “nomi”, le “idee” e le “cose” che i nomina dovrebbero significare; inoltre, il nome del protagonista è proprio frate Guglielmo. Ma la conferma più chiara si trova nel saggio intitolato L’antiporfirio, nella raccolta Il pensiero debole del 1983 che ha segnato la stagione filosofica italiana. In questo scritto Eco critica la lettura “platonica” di Aristotele che Porfirio aveva proposto nell’Isagoge e da cui era nata la nota disputa medievale sugli universali; Eco propende per la soluzione nominalista di Ockham, contro quella realista moderata – platonico-aristotelica – di Tommaso e, come Ockham, ci invita a non moltiplicare inutilmente gli enti, soprattutto quelli ideali.
Non sarà allora che la misteriosa ragione che ha indotto Eco ad apparire senza la sua caratteristica barba negli ultimi anni sia stato un segreto omaggio al “rasoio di Ockham”?

di Giuseppe Girgenti
da "LiberoPensiero" del 21 febbraio 2016