26/09/17

Un incontro mancato. Marius Schneider e la cultura italiana


Marius Schneider (1903-1982)




I tratti più rilevanti della ricezione dell’opera schneideriana in Italia possono essere distinti in sette campi disciplinari, in ciascuno dei quali i sette relatori  al convegno Marius Schneider. Musica, Arte e Conoscenza, svoltosi a Roma l’8 aprile 2017 presso l’Associazione Simmetria, mostrano una realizzazione compiuta delle valenze del Nostro.

1.Etnomusicologia

Marius Schneider nei dizionari ed enciclopedie dove compare il suo nome è definito innanzitutto “etnomusicologo”, dunque in tale campo disciplinare ci si sarebbe dovuto aspettare un’attenzione particolare.  Nulla di tutto questo. Ma seguiamo con ordine i due padri dell’etnomusicologia italiana: Roberto Leydi  e Diego Carpitella. Il primo si occupa del nostro nel 1959 con un interesse di carattere “tecnico”, che esula dall’opzione di fondo, del resto non ancora del tutto matura nell’opera schneideriana presa in esame: “È a Marius Schneider che va il merito principale di aver aperto la strada a una rinnovata comprensione del concetto formale e storico di polifonia. Egli infatti afferma che il famoso "organum" non dovrebbe mai venir inteso, come invece comunemente avviene, quale stadio embrionale di musica "sinfonica" ma piuttosto come il momento del suo maggior sviluppo. Lo Schneider fonda questo suo giudizio su un ampio studio comparato della musica dei popoli cosiddetti "primitivi" dell’America meridionale, dell’Africa, dell’Asia e delle terre oceaniche”.
 Il secondo, invece, nel recensire, oltre un decennio dopo,  l’antologia Il significato della musica parla sarcasticamente di “una turbolençia metodologica” la quale genera “una costruzione sottilmente intellettualistica che manipola i dati, trovando nessi suggestivi ma non altrettanto suffragabili”, al servizio di una “traccia romantica della musica come «essenza» del mondo (alias significato) che, forse per un pessimismo della ragione, sembra non aver avuto possibilità di affermazione in questa vecchia Europa e che pertanto, con ingredienti esoterici magico-alchemici [...] bisognerà rincorrere tra i meridiani d’Oriente”. È vero,  Carpitella si mantiene in coordinate linguistiche “moderate” rispetto al suo amico etnomusicologo Alan Lomax, ma elude totalmente un vero confronto con l’opera recensita.
Finché, dopo anni di silenzio e di damnatio memoriae, mentre qualcuno dei più prestigiosi esponenti dell’etnomusicologia internazionale con ammirazione dedica spazio  a far conoscere l’opera del Nostro, ecco una caduta, anzi un vero e proprio tonfo dell’etnomusicologia italiana da parte di un suo autorevole esponente, Febo Guizzi che, dedicando un saggio alla figura dell’etno-organologo don Giovanni Dore, in un paragrafo dove discute la passione del sacerdote per l’opera schneideriana (Giovanni Dore e la spiritualità della musica: dipendenza e indipendenza da Marius Schneider) riassume tutti, ma proprio tutti i luoghi comuni verso una presunta “etnomusicologia oscurantista”, ovvero “lo spiritualismo anti-illuministico, la metafisica pan-filosofica, il sincretismo esoterico, l’irrazionalismo mistico di Marius Schneider”, stigmatizzando poi in particolare quella diffusione, che noi abbiamo chiamato “lenta crescita”, del suo pensiero nel nostro Paese: “La lettura di Il significato della musica e poi del volumetto pubblicato successivamente più insinuante, più affascinante ancora, cioè Pietre cha cantano, fu il tramite per l’ingresso nella nostra cultura di un’esplosiva quanto irrealistica rappresentazione della profondità, della radicalità, dell’assoluta soverchiante forza culturale della presenza del suono nel mondo che ha avuto la capacità di eccitare e indirizzare pulsioni probabilmente già latenti in certe propaggini del nostro mondo culturale o artistico-musicale. Si è trattato cioè di conferire legittimazione “scientifica” a una certa esaltazione dell’idea di suono quale presenza allo stesso tempo “invisibile” e sperimentabile, onnipresente e direttamente gestibile da chiunque di noi, “sovrannaturale” e contemporaneamente “naturalissima”, che Schneider proponeva come principio stesso del cosmo, come elemento generatore dell’universo”. E ci fermiamo qui! Anche perché sarebbe davvero un peccato infierire su uno dei, sotto altri aspetti, più validi studiosi italiani dell’etnomusicologia, purtroppo prematuramente scomparso.
Fortunatamente questo passato di etnomusicologia nostrana, essa sì davvero “oscurantista” ed ignorante (nel senso buddhista di avidyā), è destinato a tramontare di fronte a nuovi studi, come quello del musicista ed etnomusicologo Pierpaolo De Giorgi, che, oltre a tradurre e curare la pubblicazione in Italia di uno dei testi più importanti di Schneider, ha finalmente riletto il fenomeno del tarantismo, facendo tesoro della lezione schneideriana, che l’etnologo Ernesto De Martino, pur conoscendola, o forse proprio conoscendola, ha volutamente lasciato in ombra. E non sarà privo di interesse ricordare che lo scritto forse  più arcaico, dedicato da Zolla in modo specifico all’amico etnomusicologo prendeva l’avvio dalla pubblicazione  nel 1961 del volume La terra del rimorso di Ernesto De Martino, di cui però non parlava, spostando l’attenzione su Schneider. Ecco l’abbrivio: “Miglior partito sembra invece richiamare l’attenzione sulle idee di uno studioso tedesco cui De Martino spesso rinvia: Marius Schneider, non ancora noto tra noi. La sua ricerca, condotta in Spagna […] e poi proseguita nell’Istituto di musicologia dell’università di Colonia, si fonda su una premessa importante: vi accenno in poche parole. Nei tempi primitivi la musica è sempre rituale, i modi musicali sono emblemi non solo della gamma dei sentimenti, ma dei miti che li esprimono, ed essi a loro volta sono rappresentati da certi simboli: come non supporre che questa associazione possa rappresentare anche una modalità di trascrizione musicale? Questa è l’ipotesi su cui ha lavorato Schneider”.
E così, dopo quasi mezzo secolo dall’indicazione zolliana, Pierpaolo De Giorgi ha realizzato le valenze etnomusicologiche di Marius Schneider.

2.Musicologia

Se dal campo disciplinare etnomusicologico ci spostiamo verso quello usualmente definito “musicologico” (per quanto i confini si vanno sempre più ridefinendo),  troviamo un’”attenzione rispettosa” , un’”attenzione ammirata” e, infine, una vera e propria “manducazione della parola” schneideriana.
L’”attenzione rispettosa” è, ad esempio, quella di Gino Stefani, un acuto e brillante outsider della musicologia italiana, autore di una lunga recensione a Il significato della musica, nella quale, pur prendendo le distanze da alcune opzioni di fondo (tuttavia definite correttamente “metafisiche”, “pre-scientifiche” alla maniera di Athanasius Kircher e Robert Fludd, nonché “simboliche”), non esita a parlare di “notazioni sapienziali che basterebbero da sole a rivelare nello Schneider la vocazione e la statura di un vero maestro”. Non possiamo in questa sede dilungarci sull’analisi condotta, ma un paio di passaggi finali particolarmente simpatetici meritano considerazione. Il primo: “Particolarmente suggestiva, anzi profetica, ci sembra poi l’insistenza di Schneider nell’invitare a vivere i ritmi asimmetrici, ben più "naturali" dei poveri schemi usuali della nostra musica tonale. Più in generale si può osservare come certe classificazioni schneideriane dei comportamenti della musica primitiva costituiscono dei patterns informazionali applicabili ad amplissimi ventagli di realtà. E se le ricerche antropologiche di un Marcel Jousse su ritmi binari umani hanno già influito sulla pedagogia musicale, quelle più complesse di un Leroi-Gourhan (sui rapporti gesto-parola) potranno sostanziare più di un’intuizione del nostro etnomusicologo”. Il secondo: “Dove però la proposta della filosofia musicale simbolica appare più fascinosa e tentante è probabilmente là dove si propone di annodare segrete relazioni tra la musica cosmica e la forma musicale. Un miraggio? Certo, uno fra i massimi problemi delle poetiche musicali contemporanee”.
Dall’”attenzione rispettosa” si passa a quella “ammirata” e infine alla “manducazione della parola” schneideriana” nel caso di due importanti musicologi come Mario Bortolotto e Quirino Principe.
Il primo utilizza Schneider addirittura per la sua interpretazione della Nuova Musica (indicazione raccolta poi, come abbiamo visto, anche da Gino Stefani): “Come nella filosofia dei primitivi, musica torna ad essere accostata a canto delle sfere, ad armonia pitagorica: e qui la speculazione della Nuova Musica s’incontra, anche contro l’interdizione cosciente degli autori, con l’orfismo di Marius Schneider”. Interpretazione discutibile, a nostro parere, non per il condivisibile nesso fra Schneider e la musica del Novecento, come vedremo al termine di questa rassegna, ma per la scelta di campo operata.
Quanto al secondo, è autore dell’eccellente presentazione di una edizione di Il significato della musica (purtroppo soppressa in edizioni posteriori) dove esordisce scrivendo: Ciò che sorprende, nel momento in cui questo libro di Marius Schneider viene ripresentato ai lettori italiani, è il fatto che tutti i problemi aperti nel 1970, anno della sua prima apparizione (in assoluto, non soltanto in Italia, essendo questo un libro originale), restano ancora tali nella musicologia italiana. Ventisei anni fa, Schneider era un mito presso i rari uomini di cultura abituati a incamminarsi in direzioni diverse da quelle imposte dall'industria culturale, dalle parole d'ordine ideologiche, da una professione intellettuale ridotta a mestiere e a bassa politica, com'era («è»?) quella delle università e dei conservatori di musica”. Il cuore della presentazione merita di essere riproposto interamente: “Sia chiaro: Schneider ha dato all'etnomusicologia contributi di altissimo valore scientifico, percorrendo il mondo con modesti mezzi personali - alla vecchia maniera! - per studiare e definire la presenza della polifonia non come fenomeno stilistico puramente occidentale, ma planetario, e la sua monumentale Geschichte der Mehrstimmigkeit, rimasta incompiuta, ne fa fede. Non sappiamo quanti, fra i pochi e certo valenti etnomusicologi attivi in Italia, abbiano come Schneider rielaborato dati e nozioni dopo averli appresi non da documenti scritti o magari da libri e articoli altrui, ma dall'indagine sul campo, in loco, e con le orecchie bene aperte. Ma egli non si riduce a questo: l'apertura planetaria del suo settore di ricerca ha rilievo non ai fini dell'estensione quantitativa delle conoscenze, bensì della "verticalità" di un pensiero musicologico che s'infiltra nel profondo e svetta verso altezze invisibili da quaggiù, così com'era invisibile la cima della scala di Giacobbe. Quei primi cinque capitoli sono raccolti in una sezione, il cui titolo generale e inevitabile è L'essenza della musica. Appunto: l'essenza, al di là dell'esistenza. Più che un etnomusicologo, più che un semiologo (Schneider è anche questo, naturalmente, là dove egli si occupa di forme simboliche archetipiche spesso fondate sul numero, come avviene in Singende Steine e nell'Origen musical), più di tutto questo, lo studioso alsaziano è un filosofo della musica, o meglio, un filosofo tout court, un filosofo moderno che della modernità ha l'acribia filologica e metodologica nonché la vocazione all'indagine sperimentale, ma che nello stesso tempo ragiona e compie le sue sintesi alla maniera dei filosofi antichi. Su questo punto, Il significato della musica è ancora un libro insuperato, e lo diciamo con rammarico, poiché vorremmo poterlo considerare, dall'alto di una visione culturale affermata, un libro «storico». Esso resta un'opera pionieristica, e per gli studiosi italiani (forse, non ci stanchiamo di ripeterlo, non soltanto italiani) più che mai un'arma di combattimento culturale o un affilato coltello con cui l'esploratore si fa strada tra l'intricato fogliame della foresta tropicale”. La conclusione non può che essere netta e risoluta: “Perciò anche la terza sezione del Significato della musica, libro nato non come edizione italiana di un'opera in altra lingua ma come unità in sé ideata da un editore italiano, scavalca le curiose avventure intellettuali che in questi anni abbiamo visto, con gioia, diffondersi fra i giovani strumentisti usciti dai conservatori: indagini storiche per gli strumenti rispettivamente suonati, avvicinamenti graduali alla loro radice culturale e alla loro origine simbolica. Tutto resta irrelato, poiché in Italia, nella cultura musicale, sopravvive il pauroso iato tra studio musicologico universitario, carente di pratica strumentale ed esecutiva (talora, anche, di conoscenze armoniche e contrappuntistiche di base) e studi di conservatorio ignari di latino e di greco, di etnologia o semplicemente di storia e di letteratura. A sua volta, la seconda sezione del libro, culminante nel prodigioso capitolo sull'armonia platonica delle sfere, è una rivelazione ancora oggi abbagliante in una cultura nella quale i giovani non apprendono nulla dell'antica musica ellenica né dal conservatorio né dall'università. La lettura di Schneider è obbligatoria, dopo che la sonda spaziale Voyager 2 registrò nell'estate 1981 l'arcano accordo musicale trasmesso dai rotanti anelli di Saturno”.
Dopo queste parole,  i tempi sono finalmente maturi affinché il giovane studioso italiano Leopoldo Siano, professore all’Università di Colonia (la stessa dove insegnò in anni lontani Schneider), realizzi le valenze musicologiche del Nostro.

3.Musicoterapia

Se alcune indicazioni di Gino Stefani fossero state prese sul serio anche la musicoterapia avrebbe potuto beneficiare ampiamente, e da tempo, dell’opera schneideriana.  Purtroppo ciò non arrise neppure ad uno dei testi più significativi, che addirittura faceva tesoro del pensiero pitagorico-armonicale, limitandosi a però a citare il Nostro solo come fonte sulla musica primitiva.
Il lungo silenzio è stato finalmente rotto negli ultimi anni dall’originale lavoro del musicoterapista Giangiuseppe Bonardi, attivo anche sul web, che già nel precedente numero dell’Almanacco Scientifico di Simmetria ci ha preziosamente introdotti al tema.

4.Mitologia e storia delle religioni

“Mitologo” è un’altra, e a ben ragione, definizione dei dizionari ed enciclopedie dove compare il nome di Marius Schneider, ma la ricerca in tale campo disciplinare ci lascia a mani vuote. In verità, se si vuole, l’intera opera di un mitologo e mitografo del nostro tempo, Roberto Calasso, che del Nostro è stato anche editore, soprattutto da La rovina di Kasch in poi non sarebbe concepibile senza la conoscenza profonda dell’opera di Schneider e soprattutto la sua dottrina del sacrificio.
E parimenti merita di essere ricordato un altro meno noto mitologo e mitografo del nostro tempo, nonché editore, Alfredo Cattabiani (1937-2003), i cui numerosi volumi dedicati al simbolismo dialogano continuamente con Marius Schneider.
Eppure la piena assunzione delle valenze mitologiche e storico-religiose del lascito schneideriano appartiene a Nuccio d’Anna, che giovane studente, ebbe la fortuna di incontrare e conoscere il Nostro ai primi due convegni dell’Istituto Ticinese di Alti Studi a Lugano che, nei primi anni Settanta del secolo scorso (1970-19739 , furono promossi e diretti da Elémire Zolla. Il suo approccio alla disciplina storico-religiosa è rimasto costantemente memore di Schneider.

5.Architettura e Geometria Sacra

Ecco un altro campo disciplinare che avrebbe potuto beneficiare ampiamente, e da tempo, dell’opera schneideriana. Ma ciò non è avvenuto, o meglio è avvenuto marginalmente. Infatti il titolo di una delle opere più famose di Schneider, Pietre che cantano, è divenuto proverbiale, e lo hanno fatto proprio innumerevoli manifestazioni culturali ed artistiche.
In tempi recenti, però, c’è stato anche qualcuno che si è messo all’opera per verificare con una ricerca sul campo  se la celebre scoperta compiuta sui capitelli di chiostri catalani potesse in qualche modo trovare corrispondenze anche sul nostro territorio. L’assunto è esplicito: “Chi scrive è convento  della giustezza della visione di Schneider; ed inoltre, sebbene non in ogni costruzione romanica e/o gotica vi possano essere degli inni completi, come minimo vi sarà una nota o un a serie di note coerenti […] Va qui precisato che chi scrive si basa sui risultati di Schneider. In altre parole: quanto enunciato da Schneider è l’assunto di base dal quale il presente lavoro prende inizio. Tale assunto non sarà, dunque discusso, ma semplicemente assunto. Se, per una qualche ragione, non si fosse d’accordo con tale visione, semplicemente si è sbagliato libro perché tutto parte da qui”. Più chiari di così! Lasciamo al volonteroso lettore l’interpretazione “schneideriana” di alcune chiese, da Caserta Vecchia a Ravello, da Benevento a Sessa Aurunca ed Aversa. Al primo volume ne è seguito un secondo, ma la ricerca è tutt’ora in corso.
Eppure la piena assunzione delle valenze architettoniche e geometrico sacrali  del lascito schneideriano appartiene in toto a Claudio Lanzi,  autore di innumerevoli studi sull’argomento, tra i quali basti citare l‘imponente trilogia formata da Ritmi e riti. Elementi di geometria e metafisica pitagorica , Misteri e simboli della croce, e Sedes sapientiae. L’universo simbolico delle cattedrali, tutti editi da Simmetria Edizioni.

6.Filosofia ed Estetica

Se ricordiamo le parole Quirino Principe già riportate (“lo studioso alsaziano è un filosofo della musica, o meglio, un filosofo tout court”) non parrà fuor di luogo cercare il Nostro nell’ambito degli studi filosofici. Filosofia della musica?
Giovanni Piana, autorevole filosofo italiano, ha sempre avuto un occhio di riguardo per la musica, tenendo in gran conto anche alcuni degli autori  definiti da Reynoso con dispregio “oscurantisti”, fra i quali, oltre ad Alain Daniélou, c’è anche Marius Schneider. Se di ciò gli va dato atto, l’analisi condotta del pensiero schneideriano, che risparmiamo al lettore, non brilla certo per particolare acume e si conclude banalmente: “Nello spirito delle considerazioni di Schneider possiamo certamente dire: la musica è morta, molto tempo fa. A noi resta soltanto l’arte dei suoni. In questa opposizione e in questa formulazione conseguente, la musica di cui parla Schneider si perde veramente nelle nebbie di un puro ideale filosofico. E tuttavia, nonostante il fatto che proprio su questa conclusione intendiamo riposare, c’è ancora qualcosa che fomenta la nostra inquietudine teorica: si arriva qui a dire in negativo esattamente ciò che teorici e musicisti del Novecento, guidati da orientamenti opposti, hanno detto e ridetto in positivo come un’acquisizione importante e nuova: finalmente siamo arrivati a renderci conto del fatto che la musica è niente altro che arte dei suoni”.
Si sa, i maestri fanno scuola comunque e un discepolo di Piana, Carlo Serra, malgrado pregevoli lavori in ambiti desueti, in un testo si limita a menzionare il Nostro per definire il suo pensiero “filosofia del simbolico opaca, ma affascinante”, e in un, sotto altri aspetti, notevole lavoro sulla voce neppure lo menziona!
Filosofia tout court? Qui la rassegna ci offre finalmente delle piacevoli sorprese.
Il primo autore che desideriamo menzionare è il filosofo cattolico e “perennialista” Silvano Panunzio, un outsider della cultura italiana del secondo dopoguerra del Novecento, che aspetta ancora una seria presa in considerazione (1). Nella sua opera forse più importante (2) c’è un confronto critico con il Nostro che, per quanto non da noi condiviso, merita di essere riportato integralmente: “Il significato della musica di Marius Schneider non ci trova del tutto consenzienti. L’autore ha svolto indagine interessanti sul mondo primitivo, sui testi orientali e sulle concezioni indù: ma non per questo la sua può considerarsi un’opera autenticamente "tradizionale". In essa si cade nella solita confusione tra piano metafisico- al quale si dovrebbe ascrivere la musica- e pian cosmico. Inoltre, una difettosa conoscenza dell’Astrologia sacra suggerisce, all’Autore, delle tavole analogiche non corrispondenti e non troppo chiare, nelle quali viene malamente coinvolto anche il Pitagorismo. Circa il mitico primato della Musica, M. Schneider si dà la zappa sui piedi allorché ricorre alla dottrina dei Centri sottili o "ruote" della Tradizione indù. Se la Musica dipende dal Centro bucco-laringeo, è evidentissimo che il Centro frontale della Visione silenziosa sia gerarchicamente superiore al piano della Musica. Non si ripeterà mai abbastanza che l’etere del semplice Suono musicale è inferiore all’etere della Parola che è la chiave universale della Magia terrestre e celeste (e Schneider mostra di sapere questo). Infatti, la Parola si riveste non solo dei Suoni della Vita ma della forza sovrana della Verità. L’etere più alto è appunto quello della più pura Luce ideale. Ancora un altro passo e gli Eteri e il Cosmo sono trascesi nell’unitaria realtà metafisica della Divinità”. Un confronto molto critico, ma serio e da meditare…
A distanza di anni, però, un antico sodale e collaboratore di Panunzio, Giovanni D’Aloe, scrive un notevole testo di filosofia simbolica del colore, dove fa di Schneider addirittura l’autorevole conformatore della goethiana teoria dei colori: “L’armonia cromatica ha dunque per Goethe lo stesso valore dell’armonia musicale: unendosi così i due simboli originari in un unico inno al Creatore. Solo recentemente la "teoria" di Goethe ha ottenuto significative conferme: mentre lo "spettro" di Newton, nonostante la sua rigidità ed arbitrarietà, è entrato a far parte dei luoghi comuni della nostra cultura […] Goethe riteneva che tutti i colori fossero originati da una mescolanza tra la luce e la tenebra: e che l’armonia cromatica avesse lo stesso valore dell’armonia musicale, sia dal punto simbolico, sia per gli effetti psicologici. Marius Schneider, nella sua opera più affascinante, Gli animali simbolici e la loro origine musicale nella mitologia e nella scultura antiche, non solo conferma l’intuizione di Goethe, ma ne fa derivare una teoria unitaria dei sensi incentrata sugli "insiemi ritmici” (3).
Se, per così dire, ci muoviamo dalla “scuola” di Panunzio a quella di Carlo Sini, troviamo un notevole saggio di cosmologia di Alessandro Carrera, che, analogamente a quanto detto di Stefani sul versante musicologico, potremmo tornare a definire di “attenzione rispettosa”, come annunciato nella Premessa: “Nonostante la sua probabile metafisica, questo libro non è dedicato agli adoratori di maiuscole. Le suggestioni che hanno influenzato la sua nascita sono state l’etnomusicologia di Marius Schneider (di cui si è tenuto ben presente il fascino rischioso), le riflessioni su filosofia e cosmologia di Carlo Sini […] All’autore non resta che aggiungere che l’armonia delle sfere, ovviamente non è vera. L’universo vive di ordine e disordine, e se gli uomini hanno inventato la musica è stato forse per aiutarlo a mantenersi in equilibrio. Cercare di rendere più chiaro questo pensiero un po’ oracolare è il compito delle pagine che seguono”.
Malgrado le mani messe avanti, il lettore non potrà fare a meno di notare la prepotente fascinazione che l’autore subisce sia da parte di Schneider (cui è per buona parte dedicato il saggio) che di altri (compresi i neopitagorici del “pensiero armonicale”), e l’”attenzione rispettosa” si muta in “attenzione ammirata”:  “(Schneider) mitografo moderno della musica, tessitore di un vero e proprio corpus mitologico edificato esteriormente con materiali storicizzati ma nutrito in profondità di una metafisica personale e plasmatrice che in altri tempi ne avrebbe fatto forse un ispirato conduttore di misteri […] Non ci sarà, in queste pagine, una esposizione organica del pensiero di Schneider: occorrerebbe un secondo volume. Schneider è un intagliatore di mosaici, con crea pietra che non sia nulla senza l’intero e non ha interi che non siano composti di minuti frammenti permutabili. Meglio rimandare direttamente ai suoi testi: più che credere a Schneider bisogna ascoltarlo. È uno dei pochi contemporanei, tra coloro apertamente inclini all’esoterismo, per cui l’analogia tra macrocosmo e microcosmo non sia solo un orpello buono per far quadrare ogni cerchio”.
Alcuni anni dopo è lo stesso co-ispiratore del saggio di Carrera, Carlo Sini,  a prendere la parola su Schneider. Non possiamo in questa sede dilungarci sull’analisi condotta intorno a Pietre che cantano, ma almeno un passaggio merita. Dopo aver apprezzato la “bella” prefazione di Zolla (si ricordi Guizzi che parlava invece di “infervorata prefazione”!) e aver riportato varie parti introduttive dell’autore, Sini elenca quelli che sono i suoi tre punti essenziali: “1. Per intendere davvero il tratto più rivoluzionario della scoperta di Schneider bisogna partire da quella fusione di udito e di vista che la cultura orientale e la mistica medievale europea frequentavano come abituale. Era allora normale e comprensibile parlare di "luce degli orecchi"; o di "musica degli occhi"  ; 2. L’uomo moderno ha perso l’accesso a questo mondo acustico e in generale al significato "cosmogonico"; del fenomeno sonoro; 3. Queste tesi esigono pertanto una recettività adeguata, insita  "nel modo di pensare e di sentire di una data epoca";. Cioè, io direi, quella "ricettività" che è resa possibile da concrete pratiche di vita; per esempio dalla pratica di vita benedettina in tutta la sua complessità di operazioni e significati, in larga misura irriducibili alle nostre forme di vita e alle nostre classificazioni ("ora et labora"). Sono le pratiche di vita, di parola e scrittura che aprono la via alla "ricettività", non viceversa. Donde la comprensibile sfiducia di Schneider nei confronti del lettore moderno, molto analitico e intellettualista, imbevuto di cultura libresca e di naturalismo scientista. Potremmo però chiederci: forse che le cose stanno cambiando? Forse che sta nascendo un nuovo modo di intendere la lettura e la scrittura, e perciò un nuovo senso della pratica culturale e dei suoi fini?”.
Qui siamo ben oltre l’”attenzione ammirata”, siamo alla “manducazione della parola” schneideriana!
Più esattamente: al ritorno della “manducazione della parola schnedieriana” in ambito filosofico.
Perché tre decenni prima Grazia Marchianò, che qualche anno dopo sarebbe divenuta la più importante studiosa di estetica comparata nel nostro Paese, nonché, sul piano personale, la compagna di vita di Elémire Zolla per un quarto di secolo (1977-2002, anno di scomparsa di Zolla), aveva pubblicato un importante volume, la cui seconda parte (La chiave arcaica e i suoi custodi nella tradizione) era tutta “informata” dal verbo del Nostro. La giusta collocazione e interpretazione di Schneider all’interno della filosofia comparata avrebbe poi trovato coronamento tre anni dopo in un esemplare volume, concepito come una struttura speculativa che si può anche prospettare diagrammaticamente come mandala. E qui Schneider, oltre a “informare” via via le diverse pagine del testo, viene a confermare l’autrice nel modo, nuovo e antico al tempo stesso, di intendere la speculazione: “Nella vita religiosa, avverte Schneider, il canto ha una funzione analoga a quella della parola spontanea con cui formuliamo e confessiamo nella vita quotidiana una risoluzione silenziosamente elaborata. Cantare è rispondere ed acconsentire. Il canto, infatti, ha un carattere vincolante. All’atto di manifestarsi sonoramente, il pensiero si conferma e precisa. Il canto ratifica il pensiero, perché questo diventa attuale allorché il canto si formula. Cantare i propri pensieri, dopo la corrispettiva meditazione, vuol dire abbandonare l’area dell’individualità, procedere all’azione e operare nella collettività”. Un decennio dopo, in un suo ulteriore ed importante lavoro, Grazia Marchianò ospiterà un intero e prestigioso saggio del Nostro, con il quale l’assunzione di Schneider a preminente figura di filosofo della “Scienza dei Simboli” è completata. Vi rimando allora alla sua relazione più avanti in questi Atti.

7.Musica sperimentale

Concludiamo questa breve rassegna con un cenno ad un tema che ci sta particolarmente a cuore,e  su cui ci riserviamo di tornare altrove in adeguata maniera: Schneider e la musica sperimentale. Può sembrare una provocazione, ma forse, come altrove abbiamo visto nel caso di Elémire Zolla, non è così.  Non ci riferiamo quindi ad alcuni noti cantanti italiani che recentemente hanno mostrato ammirazione per Schneider (valgano per tutti i nomi di Angelo Branduardi, Roberto Vecchioni, e ovviamente Franco Battiato), ma la cui musica ben difficilmente potrebbe pretendere di avere alcun rapporto con il Nostro, quanto piuttosto a riconosciuti Maestri della sperimentazione musicale (non dell’avanguardia musicale o Nuova Musica, come ha pretendeva Bortolotto).
E qui troviamo innanzitutto l’“attenzione rispettosa: “Spesso studiosi seri vengono letti male, in un’ottica inflazionata e deformata. Questo sembra essere il caso di Marius Schneider, un autore che oggi tende ad essere letto in modo superficiale ed acritico, ma che resta importante al di là di ragionevoli dubbi. Che Schneider sia stato tradotto, sia in italiano che in inglese, in modo del tutto disorganico ed episodico non aiuta certo la comprensione del suo pensiero. Rimane il sospetto che una lettura a volte veramente faticosa farraginosa possa dipendere dalle traduzioni, ma in parte anche dal pensiero originale”.
Poi troviamo l’”attenzione ammirata”.
E, infine, la “manducazione della parola” schneideriana” di Franco Evangelisti: “Marius Schneider è stato un acuto osservatore nel descrivere il valore e il significato della musica in rapporto allo smarrimento dell’uomo di oggi che, di fronte ad alcuni aspetti poco comprensibili o difficilmente razionalizzabili della realtà, assume a volte atteggiamenti non molto intelligenti […] Da queste riflessioni ricaviamo tre concetti fondamentali. Il primo lega il potente influsso che il messaggio sonoro ha non soltanto sugli uomini ma anche sugli animali, come il serpente o lo scorpione. Chi non ha visto un gatto arruffare il pelo o fare la gobba, o sentire ululare o guaire un cane per una sonorità proveniente da una musica o dall’uso diretto d’uno strumento? Di sicuro i termini incantare o disincantare indicano il coinvolgimento in un atto magico mediante il canto; nel tempo, il valore assegnato dall’uomo al messaggio acustico si evidenzia nel significato originario di queste parole […] La seconda considerazione deriva dall’idea di Schneider sulla musica
che congiunge perché porta a consuonare tutto ciò che è capace di vibrare o almeno lo fa oscillare;. Idea che quasi sicuramente proviene dalle leggi di simpatia e contiguità a suo tempo formulate da James Fraser per le pratiche magiche. Anche queste leggi, e quelle fisiche e geometriche, dovrebbero essere esaminate con serietà e verificate […] La terza considerazione riguarda il comportamento dell’uomo odierno di fronte a manifestazioni vitali o a fenomeni che non riesce a spiegare e a razionalizzare, inducendolo a posizioni lontane da qualsiasi soluzione: scatta così lo scetticismo, una sorta di alienazione che gli fa ignorare i fatti, quasi per paura di vedere […] Un’idea limitata nei riguardi della cultura musicale può impedire in fatti una visione più vasta del fenomeno musicale. Da una simile concezione "eurocentrica" si può cadere nel pregiudizio che una cultura sia superiore a un’altra. Ora, se questo è verificato, è stato  però anche chiarito grazie agli inteventi di etnomusicologi come von Hornbostel, Schaeffner, Sachs, Carpitella e altri. Ciò malgrado, persiste, a taluni livelli, una sorta di inconscio colonialismo culturale che non aiuta”. E ci fermiano qui! Con questo richiamo all’etnomusicologia da parte del compositore “sperimentale” Evangelisti, ma con segno totalmente opposto a quello che abbiamo in precedenza riscontrato in Febo Guizzi. ..
Schneider  “sperimentale” suo malgrado? Forse…

Antonello Colimberti

(1) Vale segnalare l’opera inesausta del suo allievo Aldo La Fata nel curare la ristampa, diffusione e studio degli scritti del suo Maestro.
(2)  Cfr. Silvano Panunzio, Contemplazione e simbolo (2 vol.), Simmetria Edizioni, Roma 2014. (I ed. Volpe, Roma 1976).
(3) I colori simbolici, origini di un linguaggio universale, Il Segno dei Gabrielli Editore, Negarine di S. Pietro in Cariano (Verona) 2004.

    Opere principali di Marius Schneider.



  • Il significato della musica, trad. di Aldo Audisio, Agostino Sanfratello e Bernardo Trevisano, introduzione di Elémire Zolla, Milano, Rusconi, 1970; Milano, SE, 2007
  • Pietre che cantano : studi sul ritmo di tre chiostri catalani di stile romanico, trad. di Augusto Menduni, Milano, Archè, 1976; Parma, Guanda, 1982, prefazione di Elémire Zolla; Milano, SE, 2005
  • Gli animali simbolici e la loro origine musicale nella mitologia e nella scultura antiche, trad. di Gaetano Chiappini, Milano, Rusconi, 1986
  • La musica primitiva, trad. di Stefano Tolnay, Milano, Adelphi, 1992
  • La danza delle spade e la tarantella : saggio musicologico, etnografico e archeologico sui riti di medicina, a cura di Pierpaolo De Giorgi, Lecce, Argo, 1999

N.B.
Il testo di Colimberti nell'originale è corredato di molte ricchissime note che per non appesantire il testo si è deciso in questa sede di omettere. Il testo completo si trova ora negli Atti del convegno pubblicato dall'editrice "Simmetria" di Roma con il titolo "Schneider musica, arte e conoscenza". Tra i relatori Grazia Marchianò, Leopoldo Siano, Nuccio D'Anna, Pierpaolo De Giorgi, Giangiuseppe Bonardi, Claudio Lanzi.


2 commenti:

  1. Eccellente intervento di Antonello. Grazie, l'ho letto con molto profitto. Come al solito, veramente notevole e intelligente.

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  2. Ottima analisi dell'ottimo Colimberti. Rene'

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